
Basta, Salih non ce la fa più. Gli hanno tolto il suo lavoro di giornalista – per cui ha talento e vocazione – per becere invidie da mediocri; il suo Paese mette il bavaglio non solo alle parole, ma anche ai pensieri della gente; l’orizzonte si restringe e si affloscia come un elastico vecchio e sbrindellato; le ambizioni della sua generazione sono state gettate via come bucce di mela di un banchetto già consumato. Basta, Salih non riesce più a sopportare tutto questo, tutta questa mancanza di futuro. Prende un biglietto aereo. Per un posto lontano. Mettiamo il Brasile, dove nessuno lo conosce, dove ricominciare da zero, un nuovo inizio. Il tempo di un’ultima cena con gli amici al suo ristorante preferito, il Bistrò delle delizie di Afitap – dio come cucina Afitap - e poi basta, che si apra un nuovo capitolo, la Turchia è un romanzo terminato! O no? È l’ultima cena, succede sempre qualcosa durante l’ultima cena: qualcuno beve troppo, qualcun altro si lascia scappare una lacrima, c’è quello che in preda alla sbronza ne approfitta per raccontarti quel segreto personale così ingombrante – ma è la tua cena d’addio o la sua serata, che diamine! – qualcuno magari trova pure il tempo di farsi venire un coccolone. Mentre gli addetti del cimitero scavano la buca per la bara una nuvola di vespe si addensa nel vuoto della terra, un aereo all’aeroporto parte per Rio de Janeiro… chiunque sia fra i passeggeri, quel volo sicuramente porta via con sé qualcosa…
Il bistrò delle delizie è un romanzo che parla di perdita: del lavoro, dell’amore, dell’amicizia, della famiglia, del paese. Cosa rimane a definire la nostra identità quando ognuno di questi elementi sembra scivolarci via dalle mani, si offre per poi sfuggire, si propone per poi ritrarsi? Cos’è che ancora può tenere agganciati a un progetto che sembra sfaldarsi: l’odio di classe? quella persona che ti fa sentire “fuori dall’ordinario”? oppure il cibo, forse: nell’alchimia degli ingredienti e nelle indicazioni delle ricette forse si nascondono i ragguagli che conducono al cuore della nostra identità, la nostra patria è magari proprio il cibo, quel Sütlü Nuriye preparato da Afitap: forse è lì l’arcano di noi stessi, fra uno dei livelli di pasta sfoglia, dietro qualche briciola di noce annegata nel latte… Forse solo dandole da mangiare si può spegnere quella voce che parla dentro, che critica tutto, a cui non va mai bene niente, che dice che ci prendiamo troppo sul serio, che contiamo meno di quel che pensiamo, che in fondo basta, ogni nostro sforzo è inutile. Solo quando mangiamo e beviamo riusciamo a tenerla sedata; chissà se anche andando in un altro paese ce la portiamo dentro e chissà se lì potremo trovare le delizie culinarie adatte a placarla e quietarla, chissà se c’è un’altra Afitap in Brasile? Il bistrò delle delizie è un romanzo di tante domande e di poche risposte. Un romanzo di dubbi, di contrattempi, di indecisioni. Dentro quelle di Salih ci sono le domande di un’intera generazione turca – ma non solo -, ci sono i dubbi di un momento storico in cui stagnazione economica, declino delle opportunità e imbarbarimento dello spazio sociale portano a un difficile regolamento di conti con le proprie aspirazioni e la propria coscienza. Forse per questo Il bistrò delle delizie (uscito nel 2019, secondo romanzo dell’autrice dopo Musa’nın uykusu – Il sonno di Musa) è stato un caso editoriale con oltre 10.000 copie vendute e sei ristampe in successione. Certo, nelle sue domande possono ritrovarsi – o perdersi – anche molti di noi.
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