
Durante “pigre mattine” trascorse al British Museum, proprio di fronte alla Bibbia stampata nel 1455 dai fratelli Gutenberg, il giornalista Stefano Malatesta s’imbatte in un rotolo stampato color terra di Siena: la traduzione dal sanscrito al cinese di un antico testo buddista, il Diamond Sutra. L’opera è datata 11 maggio 868, sei secoli prima dei Gutenberg, “il primo libro stampato al mondo che si conoscesse”. Dunhuang, “oasi sperduta tra la Mongolia e il Tibet”, 1907: l’archeologo Aurel Stein, ungherese naturalizzato inglese, al termine di una lunga ed estenuante ricerca, calato nelle grotte di Mogao, vede comparire davanti ai suoi occhi una massa informe di rotoli stampati alta fino al soffitto della cappella: “una biblioteca come nessuno aveva mai visto, con testi che spaziavano nei secoli in tutte le lingue orientali e insieme un deposito di opere d’arte dipinte che una volta avevano fatto parte degli ornamenti cerimoniali”. Il culmine della lunga corsa ai tesori nascosti nello sconfinato deserto del Taklamakan: la traccia di una civiltà buddista “fiorita per mille anni a partire dalla nostra era”, lungo la Via della Seta. Archeologia predatoria: Stein, come altri, torna a casa con il bottino pieno, pronto per essere esposto al museo. Malatesta, partendo dal rotolo nel casottino di vetro, si spinge verso l’Asia Centrale, prima a spasso per le più rinomate librerie di viaggio europee, alla ricerca di saggi racconti cronache-romanzo ispirazioni, poi in viaggio: l’Hindukush afgano, il Karakorum e il Pamir, il Taklamakan, lungo le vie percorse dalle carovane dei cammelli battriani, tra i due poli stanziali dell’impero romano e cinese…
Il Cuore del Continente, Matrice delle Genti, macrosfera di contrasti e vivide luci cangianti, L’Asia Centrale si riflette nei racconti tramandati nel tempo da avventurieri, esploratori, conquistatori, irrequieti viaggiatori. La Via delle merci, degli scambi, di guerre e di religioni, di popoli stanziali e nomadi, era la nervatura umana principale: dalla Porta di Giada a ottanta chilometri da Dunhuang fino alle rive del Mediterraneo. Attraverso la misteriosa, straripante manifestazione naturale, quando non deturpata dall’antropizzazione forzata del territorio. Di suggestioni, odori, colori, stoffe e storie leggendarie si circonda il viaggio datato 1995 del giornalista e scrittore di viaggi Stefano Malatesta sulle vie carovaniere: l’incontro con i cafiri dell’Hindukush, la sosta a Skardu lungo il corso dell’Indo; i personaggi-avventurieri, rocamboleschi, feroci, camaleontici: il pomposo colonnello Alexander Gardiner, il sanguinario napoletano Paolo Avitabile, l’esploratore inglese Francis Younghusband e gli archeologi europei cacciatori di tesori, il monaco Hsuan-tsang e l’epopea dei pellegrini cinesi alla ricerca dei testi sacri; le tracce del cammino di Marco Polo, il mercato di Kashgar e il vento improvviso e impetuoso del “peggiore deserto del mondo”. La cronaca errante e la narrazione di Malatesta – luoghi, uomini, libri – si camuffano in queste parole: “carovane di cammelli battriani, una ragnatela di sottilissime linee nella vastità. […] le merci, assicurate da un doppio giro di corda cambiavano basto e padrone di tappa in tappa, attraverso i deserti più infernali, le montagne più alte”.