
La guerra di Corea è stata dura ma sia il Maggiore Bennett Marco che il Sergente Raymond Shaw sono tornati a casa sani e salvi, con qualche riconoscimento in più sul petto e con i traumi tipici di chi si è trovato ogni giorno a contatto con la spada di Damocle della morte. Il loro ritorno a casa però è stato sensibilmente diverso: l’eroe americano Shaw, bello e di buona famiglia, è stato immediatamente cooptato dalla macchina elettorale costruita da sua madre e dal suo patrigno per tentare la scalata alla Casa Bianca, sfruttando la minaccia portata dal comunismo internazionale alla libera società americana; il Maggiore Marco invece è tormentato da strani incubi, incubi un po’ troppo strani per essere riconducibili solamente allo stress dell’esperienza bellica. Nei suoi sogni la sua pattuglia viene condotta in Manciuria, dove sotto stretta supervisione di scienziati cinesi, è sottoposta a un singolare esperimento di controllo della mente. Tuttavia, al di là di questi frammenti disordinati e ossessivi, la sola cosa che Marco ricorda di quell’esperienza è l’eroismo di Shaw, il quale, salvando quasi tutti gli elementi della pattuglia dal fuoco nemico, si è guadagnato sul campo la nomea di eroe di guerra…
Caposaldo del genere fantapolitico e ispirazione per i film Va’ e uccidi di John Frankenheimer e The Manchurian Candidate di Jonathan Demme, questo romanzo di Richard Condon segue le vicende di Raymond Shaw, eroe di guerra dell’esercito statunitense, garanzia di successo per la campagna elettorale del suo sregolato patrigno e spietato killer sottoposto a lavaggio del cervello. Con quest’opera scritta nel 1959, l’autore newyorchese mette in scena un dramma che fa della contaminazione fra i generi il suo punto di forza. Ci sono aspetti del romanzo di guerra, come le descrizioni delle avventure in Corea dei due protagonisti (il già citato Shaw e l’eroe positivo Bennett Marco, visionaria Cassandra della vicenda e combattente per la Verità ); ci sono intrecci degni delle più tragiche saghe familiari, con la madre di Shaw che si erge a machiavellica Lady Macbeth dall’inizio alla fine del romanzo; c’è il ritmo sostenuto del thriller che flirta con lo spionaggio e c’è, soprattutto, una lucida analisi sul maccartismo e su quella paranoia da Guerra Fredda che ha accompagnato (e in parte accompagna ancora) gli Stati Uniti. Rileggendo Il candidato della Manciuria nel 2019, resta la sensazione di aver letto un testo che, pur essendo figlio di un’epoca ben precisa e (si spera) irripetibile, presenta forti connessioni con l’attualità, dove la politica è spesso terreno di scontro lobbistico e dinastico, mentre i rapporti internazionali cedono il passo a interessi silenti e torbidi, chiaramente oscuri ai più, in nome di un’identificazione chiara e netta di questo o quel nemico. Ibrido di difficile catalogazione e, nonostante una polemica relativa ad alcuni passaggi forse plagiati da Io, Claudio di Robert Graves, il libro di Richard Condon resta una prova di alta creatività di un autore da noi tristemente poco noto.