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Il cannocchiale del tenente Dumont

Il cannocchiale del tenente Dumont

Estate 1799. La Campagna d’Egitto è a una svolta: Napoleone Bonaparte, dopo più di un anno di operazioni militari quasi fallimentari, ha deciso di cedere il comando al generale Jean-Baptiste Kléber e ritornare in Francia, dove è in corso la guerra della Seconda coalizione e la situazione politica è molto poco chiara. Una parte dell’Armata d’Oriente quindi si reca sulla costa per imbarcarsi sulle fregate “Muiron” e “Carrère”, sperando di sfuggire alla caccia della Royal Navy britannica sotto il comando di Horatio Nelson, che ha già inflitto perdite durissime alla flotta francese. Tra i soldati in partenza ci sono anche il capitano Philippe Lemoine, il tenente Gerard Henri Dumont e il basco Bernardo Gilbert Urruti: “due ufficiali senza meriti e uno chasseur della Divisione Kléber, (…) stesso destino, stesso segreto”. I tre qualche mese prima, sulle rive di “uno strano lago salmastro e paludoso, non distante dalle foci del Nilo” che gli indigeni chiamano Maryut, tra canneti e acquitrini, hanno provato l’hascisc. Quando poi le truppe francesi si sono spostate verso le Piramidi, i trafficanti di Mayrut si sono spostati al seguito della carovana dell’esercito. L’hascisc si è diffuso tra i soldati, il comando se n’è accorto e nel giro di qualche settimana la polizia segreta ha smantellato il traffico e sono piovuti arresti. Lemoine, Dumont e Urruti sentono il fiato sul collo, si guardano alle spalle, cercano di non farsi notare tra la folla che sciama attorno alle navi che vengono caricate di tutto il materiale prima di salpare. Dopo sedici giorni di navigazione, la “Muiron” e la “Carrère” giungono ad Ajaccio, in Corsica. La prima nave attracca, i corsi vogliono festeggiare in grande il loro Bonaparte. La seconda invece attende in rada. A bordo, Dumont viene avvicinato da uno strano ometto, “un civile, capelli lunghi, grassoccio e basso”: dice di chiamarsi Johan Cornelius Zomer e di essere un medico olandese. Dopo pochi minuti di conversazione Zomer fa una strana allusione al lago Maryut e Dumont si chiude a riccio, allarmato e sospettoso…

Tra i motivi dell’elevatissimo numero di diserzioni subito dall’Armata d’Oriente durante la disastrosa Campagna d’Egitto del 1799 di Napoleone Bonaparte ci furono senza dubbio le condizioni climatiche estreme a cui i soldati francesi non erano abituati e una epidemia di peste che fece migliaia di morti, ma anche la diffusione dell’hascisc – allora sconosciuto in Europa – tra le truppe napoleoniche giocò un ruolo. In questo fascinoso, originalissimo romanzo, Marino Magliani immagina che a un tenace medico olandese venga assegnata la missione di portare avanti una vera e propria inchiesta sul campo (con l’utilizzo di spie) sulla diffusione dell’hascisc tra i soldati francesi, sulle modalità di spaccio e sulle conseguenze dell’uso della droga. Questo incarico lo porta sulle tracce di un terzetto male assortito di disincantati militari: Dumont, Lemoine e Urruti, che durante la trionfale ma sanguinosa battaglia di Marengo del giugno 1800 disertano. I tre soldati progettano di raggiungere Porto Maurizio, in Liguria, dove Lemoine dice di avere conoscenze in grado di procurare loro un imbarco clandestino verso qualche colonia lontana. “La diserzione, per farsi riportare dalla storia ai margini di essa, e da lì, finalmente, vedere il mondo e coltivarne la libertà. Volevo scrivere di un desiderio di pace”, ha spiegato Magliani a “L’Incendiario”. E ancora, a “La Poesia e lo Spirito”: “A me pare che Dumont sia un personaggio vivo, che non vaga per, che non ha mai perso la speranza, che non può vendicarsi con il mondo intero. L’ingiustizia è quella di essere costretto a portare una divisa e trascorrere la vita a far guerre. Lascio aperto il suo futuro, le sue possibilità di riscatto, la sua arte, le sue montagne dove forse ritrova la dignità, il tempo, l’amore”. Passa stavolta per un romanzo storico – la cui gestazione ha preso circa un ventennio – la celebrazione della bellezza del paesaggio ligure, un tema-cardine dell’opera di Marino Magliani. Come sempre e più che mai, non è però solo questione di ulivi e noccioli, muretti e chiesette di pietra, dirupi mozzafiato, non è neanche solo questione di paesaggi dell’anima: ne Il cannocchiale del tenente Dumont c’è inventiva, trama, controllo assoluto dello stile – nitido e perfetto. C’è insomma la firma di un maestro della letteratura italiana. Il romanzo è stato giustamente selezionato nella dozzina del Premio Strega 2022 ma incredibilmente non ammesso ad una finale che avrebbe probabilmente anche meritato di vincere.