
Leonard Cohen si trova sull’isola di Idra, che è diventata il suo buen retiro. Vive in una piccola casa bianca sulla collina, da cui guardare il molo dei traghetti. Non è la prima volta che si rifugia lì, lo aveva fatto in precedenza per allontanarsi dall’inverno canadese e dai suoi personali tormenti. È l’ottobre del 1973, ora con lui c’è Suzanne e il loro figlio Adam, ma la profonda crisi esistenziale che sta mettendo a rischio la sua vita e la carriera non accenna a risolversi. Cohen ha trentanove anni: è frustrato, amareggiato, intrappolato dalla nuova famiglia, è arrivato alla mezz’età ed è bloccato, statico anche con la musica. Ricorda quando le sue canzoni non vendevano, ma almeno erano in sintonia con il pubblico. Adesso è nauseato dall’industria discografica e pur non disdegnando il denaro che gli procura, se ne sente distante. Ha ancora belle canzoni nella mente, ma non riesce a dar loro voce. È il giorno di Yom Kippur e Cohen ascoltando le notizie della guerra tra arabi ed ebrei decide di partire. Lo comunica agli amici e a sua moglie, che gli risponde così: “È più facile andare che rimanere. L’eccitazione della guerra è preferibile a questo tormento di calore e monotonia. Andarsene è la strada più facile. Andarsene è un alibi. Non siamo fatti per la strada più facile”. Dopo un’ennesima lite tra i due, Leonard si imbarca sul primo aereo per raggiungere Tel Aviv, come tanti altri stanno facendo da tutto il mondo…
Matti Friedman con Il canto del fuoco. Leonard Cohen e l’incredibile tour del 1973 nel Sinai ha fatto un grande lavoro di ricerca e ricostruzione degli eventi accaduti in quel periodo. Per la sua esperienza come giornalista e corrispondente è considerato un grande esperto della storia del Medio Oriente. Il ritrovato manoscritto di Cohen, i suoi taccuini di guerra e gli altri su cui scriverà sempre anche negli anni successivi, hanno permesso a Friedman di farci conoscere questo periodo burrascoso della vita dell’artista. Cohen era partito senza la chitarra, la sua intenzione era quella di portare il suo aiuto in un kibbutz, per permettere ai ragazzi di andare a combattere. Le cose vanno diversamente, si fa prestare una chitarra e si unisce agli altri musicisti che andavano sul Sinai ad intrattenere i soldati. Di quei meravigliosi e irripetibili concerti non ci sono registrazioni, mentre qualche preziosa e inedita foto correda il libro. Il canto del fuoco però, ci restituisce a pieno le emozioni e l’unicità di quelle esibizioni, che tanto hanno influito sull’animo di Leonard, anzi Eliezer, come preferiva farsi chiamare lì, con il suo nome ebraico. Il 6 ottobre del 1973, giorno della festività ebraica di Yom Kippur, in Israele ogni attività si ferma per rispettare il digiuno. Le truppe siriane ed egiziane decidono, a sorpresa, di sferrare un attacco armato contro Israele. Ancora soddisfatti dell’esito della Guerra dei sei giorni del 1967, gli israeliani sottovalutano la situazione. Friedman, parallelamente alla storia di Cohen, ripercorre la cronaca della guerra con lucida competenza, sovrapponendo il destino di un uomo a quello di un Paese. Leonard Cohen canterà per le truppe israeliane nei luoghi più disparati: nel deserto, in piena zona di guerra, in basi militari minacciate dal fuoco nemico o in accampamenti di fortuna. Canterà davanti a ragazzi appena tornati dalla battaglia, soldati impauriti, stanchi e stupiti per la comparsa, tra la sabbia del deserto, di una star internazionale. Incontrerà anche il futuro Primo Ministro Ariel Sharon, il Leone del Deserto. La musica e le canzoni, non soltanto quelle di Cohen, sono il fulcro della narrazione. Friedman suggerisce che cantare per le truppe al fronte non solo risolleva il morale ai combattenti o li distoglie temporaneamente dall’orrore della guerra, ma determina anche un nuovo modo di sentire collettivo, dando alle persone la possibilità e il diritto di piangere. Quei giorni di grande concitazione e di profonde riflessioni infondono a Cohen un ritrovato amore per la vita e una nuova vena creativa che lo porterà a scrivere alcune delle sue canzoni più famose. I ragazzi sopravvissuti alla guerra del Sinai, che oggi hanno più di sessant’anni e che Friedman ha intervistato, sono ancora addolorati per aver visto fare a pezzi i loro amici. Ricordano di aver vissuto nell’incertezza, confortati dalla potenza delle passioni giovanili, ma con la sicurezza che nessuno di quelli che sedevano per terra, come si vede nelle foto del libro, poteva essere sicuro che sarebbe stato ancora vivo dopo mezzora. Molti, infatti, non ce l'hanno fatta. Cohen dopo il viaggio nel Sinai torna dalla moglie e dal figlio, con cui ricostruisce un rapporto che è durato fino alla fine della sua vita.