
Bitty è l’unica dei numerosi figli nati da Alka e London ad aver ereditato la pelle scura. Suo nonno paterno era un nativo americano, così il padre dice che Bitty è la sua “Indianina”, mentre il resto della gente in Ohio ha toni meno affettuosi per lei: sporca indiana, brutta squaw, bastarda pellerossa. A dire il vero, non ce l’hanno solo con lei, ma con tutti i Lazarus. I nonni materni non permettono ai nipoti di entrare in casa per non sporcare o di cogliere le mele dall’albero fuori il loro giardino; solo quelle già a terra fanno per loro. In più, oltre a quello che pensa la gente, ci sono i fatti: nessuno in famiglia sembra salvarsi da una maledizione, sono tutti pieni di traumi e problemi. Nonostante ciò, non smettono di coltivare speranze e illusioni; merito del padre, che li ha cresciuti dimostrando il suo più profondo amore narrando loro storie, inventando aneddoti e miti per ogni piccola cosa. Così, nonostante i numerosi lutti, i tentati suicidi, le violenze, gli spari, ogni tanto i Lazarus tornano a credere di essere una famiglia normale. Bitty ha un rapporto speciale con il padre, lui ricorda sempre che, quando è nata lei, in cielo c’erano più stelle. Forse è per questo che anche Bitty sta sempre a inventare storie. Il suo destino è scriverle: fissare nero su bianco tutto il male e il bene che c’è nella loro famiglia; unire le loro vite, come aveva fatto la madre ricamando tutti i loro nomi su una federa, per testimoniare quel meraviglioso caos...
Serve coraggio per ribellarsi a un destino imposto con il coltello puntato da una società ostile e razzista, misogina e bigotta. Bisogna avere abbastanza forza, una volta adulti, donne e uomini, da riuscire a scostarsi da quella lama e non rimanere invischiati in un’esistenza che non si vuole vivere. Bitty sarà l’unica della sua famiglia a salvarsi. È l’unica in grado di liberarsi dello stigma che ha marchiato i suoi genitori e i suoi fratelli e sorelle, perché ha delle ali per fuggire via dalla realtà: la scrittura. Attraverso i suoi occhi di bambina e poi adolescente, seguiamo le vite di tutti i componenti di questa famiglia nata per caso, che ha dovuto forgiarsi nel dolore e nella violenza, per scoprirsi infine una famiglia, nonostante tutto. Assistiamo a stupri, al racconto rabbioso di incesti, ascoltiamo insulti, respiriamo la povertà, la violenza, il razzismo. Leggere Il caos da cui veniamo non è affatto semplice, ogni pagina è una pugnalata nello stomaco. Le disgrazie si susseguono senza tregua, senza pietà. Sarebbe impossibile da digerire, se non fosse per lo stile unico di McDaniel, che riesce a farci bere il veleno più amaro, mescolandolo al miele; dà una dimensione poetica e irreale alle vicende più crude, che in qualche modo, così, scivolano via. E se le dosi sono giuste, il veleno non è più nocivo, diventa un farmaco e può sortire effetti benefici. Leggere questo libro è fare esperienza del bosco, del buio, della bestia, che spesso è più vicina di quanto credessimo; per lo meno molto vicino a Tiffany McDaniel, per cui l’Indianina è anche sua madre, cui è dedicato il libro.