Salta al contenuto principale

Il capitalismo della sorveglianza

All’inizio del nuovo millennio Google irrompe sulla scena digitale e si propone di organizzare il contenuto del mondo e fornire risposte a ogni interrogativo espresso da un essere umano. Da lì, in una vertiginosa galoppata, arriviamo al 2014: Google è la seconda azienda più ricca, dopo Apple, e fa parte di un blindato oligopolio commerciale e della conoscenza. Nello stesso anno, il suo servizio di posta elettronica appena lanciato, Gmail, “leggeva” la corrispondenza degli utenti per generare banner pubblicitari personalizzati. Quattro anni prima, invece, Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, dichiarava finita “l’era della privacy”; gli faceva da contrappunto un ingegnere della sua corporation che, forse improvvidamente, ammetteva: “Stiamo cercando di mappare tutto, stabilendo anche relazioni tra ogni cosa”. È nato anche così il capitalismo della sorveglianza. Per la prima volta nella storia, poche aziende, in costante rapida crescita, hanno occupato e stravolto lo spazio economico senza essere sottoposte alle regole della democrazia e del mercato così come le conosciamo. Google, Apple, Amazon, Facebook, soprattutto, hanno creato un nuovo capitalismo che mira al controllo e allo sfruttamento dei nostri dati e delle nostre menti per creare profitto. Uno dei meccanismi basilari è “l’imperativo dell’estrazione”, cioè la raccolta massiccia di dati da chiunque, ovunque, per poi poterli monitorare sempre più assiduamente al fine di personalizzare l’uso della rete e influenzare i consumi e, talvolta, le opinioni. Rispetto a capitalismo analizzato da Marx e Weber, rispetto alle realtà imposte da Ford e General Motors, restano la concentrazione di ricchezza e lo sfruttamento dei più deboli (e degli inconsapevoli). Mentre però le precedenti rivoluzioni economiche si erano sviluppate e assimilate con le generazioni e secondo i diversi contesti sociali, quelle di internet seguono il tempo delle nuove tecnologie: sono rapide e universali. La sovranità del popolo è azzerata, l’ordine è incentrato sulla sicurezza assoluta, garantita dalla sorveglianza attraverso la rete e i dispositivi digitali con i quali l’uomo “convive”. Come l’assistente domestico Google Now, per esempio, progettato e venduto con lo scopo di “sapere che cosa volete, e dirvelo prima ancora che domandiate”…

“Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri” è il sottotitolo di questo saggio importante e dirompente: più di 600 pagine che stanno però catturando l’interesse dei lettori in tutto il mondo, stupiti e ansiosi di capire come evolverà globalmente il complesso, sbilanciato rapporto fra uomo e tecnologie digitali. Del resto, viviamo e vivremo una digital life: “le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono più diffuse dell’elettricità, e raggiungono tre dei sette miliardi di persone sulla Terra”. Come sta facendo Yuval Harari, autore di bestseller sulla complessità alla quale è giunta l’evoluzione umana, anche Shoshana Zuboff - docente di spicco a Harvard - si spinge dunque a disegnare il prossimo futuro, in un’operazione di solito non concessa agli storici, eppure inevitabile e doverosa. L’interrogativo che serpeggia per tutta l’opera e che sarà motivato e approfondito sotto molteplici aspetti dall’autrice è: “come è potuto accadere che il capitalismo della sorveglianza si sia impossessato delle meraviglie del mondo digitale finalizzate a garantirci una vita migliore, promettendoci il sogno di un’informazione illimitata e un’infinità di modi di migliorare le nostre vite indaffarate anticipandone i bisogni?”. Per cominciare a dare una risposta, l’autrice pretende l’attenzione partendo dalle origini di questa nuova forma di potere, accompagnandoci lungo i sentieri (agevoli) della sua affermazione che ha sfruttato le nostre menti annebbiate dai servizi gratuiti e comodi. Nel saggio ci sono le conclusioni di una lunga indagine che ha portato la studiosa a incontrare decine di data scientist ed esperti della Silicon Valley, intervallate da notizie che sono passate inosservate ai più, da esperienze personali e da teorie sociologiche e ricerche di psicologia ed economia. Il gran finale mira a colpirci al cuore, facendoci gridare: “Basta!”, rendendoci consapevoli di quanto i Signori della Rete siano affamati della nostra libertà, delle nostre conoscenze e di quanto siano pronti a imporci una visione collettivista e totalizzante dell’esistenza, come in un alveare.