
Una raccolta di otto saggi di critica letteraria scritti tra il 2005 e il 2022. Il primo testo affronta uno dei temi più ostracizzati in Italia per tutto il Novecento: l’influsso della cultura islamica sulla Divina Commedia. Da un lato, la rappresentazione di Maometto quale portatore di “scandalo e sisma” ha reso l’opera problematica per gli studiosi musulmani; dall’altro, per questioni storico-politiche, anche i dantisti hanno a lungo rifiutato questa simbiosi. Eppure Dante fu estimatore di Averroè e Avicenna, e non si può escludere che il Libro della Scala di Maometto sia stato una delle fonti di ispirazione per temi e struttura della Commedia. Tanti poi sono stati gli studiosi autorevoli che hanno lavorato per sdoganare questa parentela, da Miguel Asín Palacios a Edward Said fino al medievista Franco Cardini, le cui voci sono raccolte in un’illuminante appendice. Resta il fatto che, al di là delle questioni accademiche, in un’epoca più propensa di altre all’islamofobia, una maggiore e più diffusa comprensione dell’antico dialogo tra Occidente e Oriente potrebbe contrastare una serie di stereotipi sedimentati. Nel secondo saggio, dedicato alla Gerusalemme liberata, si spiega che il capolavoro tassiano merita di far parte del canone occidentale perché “poche altre opere della modernità hanno espresso con eguale tensione drammatica il conflitto irrisolto con la diversità”, anche in questo caso rappresentata dall’Islam. Il terzo saggio, su Asia maggiore di Fortini, sposta l’attenzione sulla Cina, già frequentata da Parise, Manganelli e Arbasino, ricordandoci l’importanza della comprensione dell’Altro con le parole di Said: “L’Oriente non è soltanto adiacente all’Europa […] è la fonte delle sue civiltà e delle sue lingue; è il concorrente principale in campo culturale; è uno dei più ricorrenti e radicali simboli del Diverso”. Il quarto saggio, raccontando il Mengaldo lettore di Fortini, ci trasporta nei territori della critica più testuale e delle riflessioni su ruolo del critico, per quanto in coda il tassismo (quello giovanile di Fortini) torni a fare da collante. Un altro passo nella direzione specialistica è la riflessione sull’approccio pedagogico di Andrea Zanzotto, che si struttura in una puntuale analisi di alcune sue composizioni, tra cui Misteri della pedagogia e La maestra Morchet vive. Si torna al multiculturalismo con la nigeriana Buchi Emecheta, e un’analisi del suo Cittadina di seconda classe (1974), ma soprattutto con Ken Saro Wiwa, “uno degli intellettuali più brillanti e versatili del continente africano”, con una disamina del suo Sozaboy. Chiude l’opera un saggio su Cesare Cases e quella sua idea di didattica della letteratura incarnata dai “consigli a un giovane docente” citati in qualità di affettuoso prestito…
Il caviale e i fichi è un’opera eterogenea ma resa sorprendentemente coesa dalla visione d’insieme di Santarone, dall’attenzione per il multiculturalismo e dalla supervisione virtuale di due o tre numi tutelari. Santarone insegna letteratura italiana a Roma, ha curato volumi di Fortini (Donzelli, 2017) e Mengaldo (Quodlibet, 2020), e ha numerose pubblicazioni alle spalle, tra cui Le catene che danno le ali (Le lettere, 2013) e Trepido seguo il vostro gioco (Zanichelli, 2015). La mappa da lui tracciata, e ribadita e illustrata al lettore, è chiara fin dalle prime pagine. In più, Santarone vanta una prosa accogliente per quanto precisa e contestualizzante, un approccio anticipato già dal titolo, pur enigmatico: Il caviale e i fichi è un omaggio a Fortini, secondo il quale il modo giusto di trattare la letteratura era quello di renderla accessibile, senza snobismi, così come si potrebbe accordare la medesima preferenza al prezioso caviale e alla più comune marmellata di fichi. In quest’ottica, Santarone alterna, con intelligenza compositiva, passaggi più didattici a riflessioni universali, tenendo così sempre alta l’attenzione del lettore. Sono anche presenti digressioni che possono, ad esempio, fornirci il contesto creativo di un determinato autore, come avviene con le riflessioni socio-storico-politiche sull’Africa, sul colonialismo e sugli stereotipi culturali (vedi quella sul petrolio nigeriano). Richiamandosi alla lezione di Genette, Santarone opera scelte forti anche in termini paratestuali: può capitare di imbattersi in note generose ai limiti dell’ipertestualità, come quella che si fa onere di istruire il lettore sulle lingue africane. Il saggio su Saro Wiwa è il più generoso: qui Santarone analizza uno per uno i capitoli di Sozaboy senza lesinare lunghe citazioni che occupano un terzo del testo e che forniscono al lettore tutti gli strumenti intra ed extra testuali necessari a esaurire il tema. Nulla è dato per scontato, e se Dante e Tasso sono alla portata di tutti, quando l’argomento è più di nicchia il lettore troverà a disposizione gli strumenti e i riferimenti necessari per capirlo fino in fondo. Certo, antologie di questo tipo vivono dell’autorialità, e in tal senso il volume in questione si rivolge a chi già ha avuto modo di apprezzare il percorso critico dell’autore o a chi vuole approfondire uno dei singoli temi, nella speranza che anche gli altri incontrino il suo interesse; ma è fuor di dubbio che il lettore di ampie vedute trarrà grande appagamento da queste pagine.