
Primi anni Quaranta. Mentre il mondo si prepara ad essere nuovamente scosso nelle fondamenta e a procurarsi cicatrici indelebili, a Ginevra nevica. Il clamore ed il terrore della guerra vengono ovattati dalla leggera coltre bianca che ricopre i tetti e le strade della parte più antica della città. Helen Bloom vive sola nel piccolo appartamento sommerso di libri che concedono, contro voglia, lo spazio a pochi mobili scarni. Disillusa dagli uomini che l’hanno amata nel modo sbagliato, preferisce di gran lunga impegnarsi nel suo lavoro come segretaria nell’Ufficio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, accettando di ascoltare l’uomo che ha tanto amato che, dall’alto dell’ufficio della direzione, elogia la moglie mentre la tradisce con le impiegate civettuole. Se solo loro sapessero quanto quell’uomo, capo di un ufficio tanto importante, abbia in realtà fallito, dirigerebbero gli occhi verso altri orizzonti. Eppure i sentimenti non conoscono ragione e concretezza, come quelli di Claire-Lise, da anni rivolti verso Marc che la tratta come una comparsa da quattro soldi nella sua vita di brillante attore. Due donne che forse hanno in comune molto più di ciò che sarebbero disposte ad ammettere. Tuttavia una donna è più del suo lavoro, è più d’un paio di gambe velate da seducenti calze nere e, soprattutto, è più d’un uomo che non la ama. Helen, ebrea che rinnega le sue origini e teme per la sua vita, e Claire-Lise, così poco avvezza alla vita politica, si imbattono in un volantino annunciante una manifestazione pacifista tenuta da Jean Ferrard alla quale, prendendo parte, dovranno la nascita di un’indole nazionalista fino ad ora trascurata e la possibilità di guarire da loro stesse…
Alice Rivaz, figlia di un socialista calvinista svizzero, scrive fin dalla giovane età regalando romanzi come La pace degli alveari e Come la sabbia, abbracciando e sostenendo le idee politiche del padre. Decisa a non restare in silenzio, dà vita qui ai suoi pensieri e alla sua visione sociale tramite le voci ben definite di due donne tra loro diverse che hanno, tuttavia, molto da insegnarsi a vicenda. Esse sono le protagoniste de Il cavo dell’onda: ciò che nascerebbe se ogni autore scrivesse esattamente nel modo in cui è abituato a pensare, senza filtri o censure. I flussi di pensieri dei personaggi, dati alla luce dall’acuto linguaggio di Alice, vengono donati ai lettori con una poesia ed una sincerità tali da avvicinarci alle loro storie come le guardassimo dalle finestre delle nostre case, in piano inverno. Come se abitassimo nell’angusto condominio di Helen, accanto a lei, o come se lavorassimo al fianco di Claire-Lise, sostenendola e curandola dalle sue insicurezze. Scritto e pubblicato a distanza di vent’anni, Il cavo dell’onda fa sentire la mancanza dei grandi pensatori ed autori che, come Calvino, Pasolini o Sciascia, credevano nel potere delle parole per cambiare le tendenze sbagliate di un paese. Pagine impregnate e sature di pensiero che tuttavia, a volergli trovare un tasto dolente, mancano di conseguenza nella realtà. Ci si affeziona talmente all’interiorità dei personaggi conosciuti da soffrire una loro inattività e una mancanza di coraggio nello spingersi a tentare, a cambiare il corso degli eventi. È tuttavia romanzo arguto, scritto in un’epoca toccante e da una penna superba.