
Nella baracca il freddo è feroce, ma la giovane donna stesa sul letto suda da ore. Geme e invoca aiuto, mentre le sue mani si muovono sul ventre rigonfio. Margherita Bassi è riuscita a tenere la gravidanza nascosta per sei mesi, poi la madre Regina si è accorta che ha preso peso e le ha dato della puttana, incapace di tenere le gambe chiuse. Regina non sa che Mario, il marito di Margherita, è fuggito dopo la disfatta di Caporetto e ha incontrato la moglie in quel giorno di marzo di otto mesi prima, quando hanno fatto l’amore sul prato e poi lui le ha raccontato di corpi dilaniati e di terrore e di sangue. Da allora Margherita non ha più avuto notizie dal marito e spera che il piccolo che sta per nascere non sia una femmina. Non può, non deve essere una bambina, che finirebbe per subire l’umiliazione dell’abbandono. Deve essere un maschio, perché solo così, se dovesse accadere qualcosa a lei, Regina se ne occuperebbe, in attesa del ritorno di Mario. Quando il nuovo nato si decide a venire al mondo, tra le urla e le imprecazioni della madre, Regina lo avvolge in un panno sporco, toglie il sangue dal piccolo corpo tremante, taglia il cordone ombelicale con un coltello arrugginito e impreca. È un femmina, continua a dire con un lamento sprezzante. Ma Margherita non può più sentirla, ha smesso per sempre di tremare e di pregare che la vita conceda un futuro dignitoso alla creatura che ha appena messo al mondo. Nello stesso giorno, l’11 novembre 1918, a Palazzo Cavriani c’è un continuo viavai di cameriere, medici e domestici. Fa freddo, ma la marchesa prova a fare due passi in giardino, poi torna al piano di sopra e si mette a letto. È alla quarta gravidanza e ormai sa esattamente cosa deve aspettarsi e quando. Quando il dottor Lupi la raggiunge, tutto procede senza intoppi e in meno di due ore, dopo tre maschi, viene alla luce una bambina…
Due nuove vite - sullo sfondo di una città, Mantova, incantevole - venute al mondo a poche ore di distanza una dall’altra. Una tra miseria e fame, con un destino che pare già segnato, l’altra tra gli agi e le comodità di un palazzo signorile. Vite che paiono agli antipodi, ma accomunate dallo stesso destino: nascere femmina in una realtà in cui essere donna arreca solo guai. Se si è povera gente, la figlia femmina è fonte di preoccupazione perché servono braccia per lavorare e un maschio varrebbe molto di più. Se si è ricchi, la femmina è merce di scambio capace di assicurare all’intera famiglia una posizione di prestigio nella scala sociale. Ecco allora che - povere o ricche poco importa - le due bambine nate il giorno dell’armistizio della Grande Guerra, sono accomunate dallo stesso destino che le vuole remissive e alla merce delle decisioni degli uomini, che possono farne l’uso che ritengono più opportuno, quasi fossero oggetti di uno squallido baratto. Sulla figura delle donne, quindi, si snoda la vicenda dell’ultimo romanzo di Silvia Truzzi - mantovana d’origine e milanese d’adozione, penna storica de “Il Fatto Quotidiano”, alla sua seconda prova d’autrice -, una storia che, partendo dal senso delle proprie origini, racconta l’emancipazione e il desiderio di percorrere una strada diversa rispetto a quella che il destino pare tracciare. Dora, in particolare, è la vera eroina del racconto. Tenace e coraggiosa, è capace di disegnare il proprio ruolo nel mondo al di là dell’universo maschile - intorno a cui tutto ruota in quel particolare periodo storico - e di ribellarsi alle convenzioni cui la propria nascita l’ha destinata. Dora non si spaventa quando realizza di dover fare sentire la propria voce. Perché chi non fa rumore non esiste e non ha diritto a nulla: né a una bambola o a un camino acceso, né – peggio - al calore di un abbraccio. Grazie ad uno stile che attinge alle caratteristiche del romanzo storico, senza tuttavia la pesantezza che a volte lo connota, la Truzzi offre al lettore un canto d’amore verso la propria città d’origine e una potente storia di amicizia e di coraggio, il coraggio di chi, pur nascendo sotto un cielo sbagliato, si ribella al proprio destino di subordinazione e occupa il posto che gli spetta di diritto in un mondo cui una bambina con gli abiti logori e la pancia vuota mai avrebbe pensato di poter ambire.