
Emilio Cacini, detto Cacio o Soldo di Cacio per via della sua statura, è un’insegnante di educazione artistica alle scuole medie, ma l’ideale di professore elegante ed austero non gli si addice per niente. È tondetto, pelato e le sue gambe corte lo costringono ad un’andatura goffa, fatta di tanti passettini. Ha, però, due bellissimi occhi azzurri, grandi, forse troppo, perché i suoi problemi di vista gli impongono degli occhiali con lenti molto spesse. Cacio è un uomo semplice e non ha aneddoti da raccontare: li inventerebbe anche, ma non ama essere al centro dell’attenzione, diventa tutto rosso e si imbarazza. Vive ad Ardenza Mare, rione della zona sud di Livorno e là ci sta bene, è rassicurante la presenza del mare, si sente dall’odore, dal ribollire delle onde e dalle sirene delle navi. Come pure l’uomo ama il parlare degli abitanti, parole che piovono dappertutto, consigli non richiesti, pareri, racconti personali, il tutto in un perenne vociare. In questa variopinta comunità ci è arrivato per Ilaria Montefalco, l’unica donna con cui ha avuto una storia, nome di copertura Clementina, militante delle Brigate Rosse, dichiaratasi prigioniera politica al momento dell’arresto a Roma. Si sono conosciuti all’università - lei matricola a Scienze Politiche, lui dottorando in Storia dell’arte moderna - e la loro storia è altalenante, frenetica e nascosta, a Cacio non interessa la politica e dal terrorismo vuole tenersi alla larga. Passati tre mesi dall’arresto di Ilaria una telefonata pomeridiana lo scuote: è il 5 luglio 1982, c’è Italia-Brasile a Barcellona, per il Campionato del Mondo di calcio. La chiamata arriva dalla Questura di Ancona, che lo invita a presentarsi entro quarantott’ore per comunicazioni urgenti. Angoscia, dubbi e ansia attanagliano Cacio, né la partita né la sua amata storia dell’arte gli danno sollievo. Arrivato ad Ancona, scopre che Ilaria è prossima al parto, sta a lui scegliere se riconoscere il bambino, in caso contrario il Tribunale dei Minori procederà all’adozione. Pitore, pulcino in toscano, nasce all’ospedale di Pontedera l’11 luglio del 1982 e Cacio diventa papà, nella sua vita arrivano altri colori, nuove parole e tanta tenerezza. Pitore, le cui funzioni del linguaggio non sono ben sviluppate, ha la disfasia di Wernicke, parla una lingua incomprensibile, ma per Cacio non sarà mai un problema…
Il cielo per ultimo è un romanzo dolce e strampalato, delicato e colorato come i quadri che ama Emilio Cacini e l'ambientazione livornese è uno degli elementi centrali del testo. La copertina stessa, realizzata da Manuele Fior, raffigura un venditore di palloncini di fronte ai Casini di Ardenza. È la storia di uno sguardo, quello della città, che accoglie da sempre e quello di Emilio che non giudica, accetta i suoi difetti e le stravaganze dei personaggi che lo circondano. C’è il signor Cesare che per presenza e modi di fare ricorda Cesare Zavattini, tanto che la signora Matelda è convinta che sia proprio lui in persona; c’è la figura magica e sfuggente di Antonio Pastacaldi, illusionista di Ardenza di grande fama all’estero, ma ora dimenticato dai più. Presenza quotidiana è quella dei negozianti da cui Emilio fa la spesa: Cuper detto Pane, il salumaio Basenko, l’elegante cartolaio Calindri. Il suo amico più caro è il marocchino Azedin, in coma all’ospedale, ma accudito da tutti, al quale si dedicherà a fine romanzo. La tigre Mirtilla, bella come se l’avesse dipinta Ligabue, dice Emilio, vive al centro del Parco Pernigotti ma non minaccia, non fa paura, anzi è rassicurante, è il nume tutelare del quartiere e ne garantisce l’armonia, ha un ruolo importante, infatti apre e chiude il romanzo. Emilio è un buono, uno di quei personaggi che sarebbe piaciuto molto a Federico Fellini, insegna arte alle scuole medie, materia che cerca sempre di rendere affascinante e coinvolgente agli occhi dei suoi alunni e che spesso gli torna utile per raccontare bene tutto quello che ha intorno. Il romanzo tocca il tema della paternità con toni delicati, Emilio affronta con amore e dedizione questo ruolo, suo figlio Pitore si esprime in un modo tutto suo, lui si adopera per assecondare e comprendere quelle parole, per non lasciare che possa in qualche modo reprimersi a causa della disfasia che lo colpisce. Le loro conversazioni sono tutto un fiorire di fabado, coltado, cebado, che esprimono tutta una gamma di sentimenti. Emilio si accorge che nelle parole di Pitore c’è un principio di ordine: quelle che finiscono in -itta esprimono contrarietà o dispiacere, quelle che finiscono in -ado meraviglia, in -ole nostalgia o affetto verso chi non c’è più. Emilio abbraccia anche linguisticamente il figlio, la loro è una comunicazione intuitiva, animalesca e tenera. Come quando fanno il gioco di indovinare che cosa ha mangiato all’asilo, Emilio lo potrebbe chiedere alla maestra Silvana o leggerlo nella bacheca, ma preferisce annusare i capelli di suo figlio per capire che ha mangiato… la sogliola. Amerebbe sentire da lui le parole ti voglio bene, ma non è possibile, si abbracciano a lungo sul divano ed è lo stesso. Una volta alla settimana vanno insieme a trovare la mamma, Ilaria, l’unico amore di Emilio, che si trova in carcere a Sollicciano, le portano crostate e un po’ d’amore, aspettando il giorno in cui potranno finalmente riabbracciarla fuori da lì. Ilaria, brigatista cinica, aggressiva e distaccata, non comprende perché Emilio la vada a trovare ogni lunedì, ma quando stringe e accarezza le mani di suo figlio tutto sembra riacquistare un po’ di senso. Nel romanzo la figura di Ilaria - concreta, a tratti brutale - bilancia la dolcezza e la pazienza di Emilio e Pitore, pur restando in silenzio davanti alla mamma, unisce questi due mondi. È un libro sulla tenerezza che di solito è vista come fragilità, per Michele Cecchini invece comporta un notevole coraggio nel mettersi a nudo, per esporsi, come l’essere arroganti o cafoni è un rifuggire da se stessi. Due versi della filastrocca Il cielo è di tutti di Gianni Rodari, autore che Cecchini ama molto, ricordano come anche chi guarda il cielo per ultimo non lo trova meno splendente. Emilio non è un ultimo e non intende rinunciare alla sua parte di splendore nel cielo. Tali parole, semplici ma molto significative, poste in calce al romanzo, rivelano la profondità del messaggio che viene trasmesso dal libro.