
Antonio Canal, in arte Canaletto, a Venezia sta avendo molte commesse per le vedute di Venezia così veritiere e precise nei loro scorci che sa realizzare con maestria. Usa una tecnica, la camera ottica, che attraverso un foro e una lente gli permette di ottenere l’immagine del paesaggio che vuole ritrarre impressa su uno specchio smerigliato e ricalcabile su un foglio trasparente. Ovviamente a tutto questo aggiunge la sua arte e le sue capacità. Ha molto lavoro, ma non gli pesa e non rifiuta niente, compresi i fondali a teatro, perché “i conti non si pagano da soli” e Canaletto si è appena acquistato un palazzetto a Castello che gli è costato una fortuna, veste bene per fare buona impressione sui committenti e poi c’è la servitù… Non tantissime persone, lo stretto necessario, giusto una cuoca, una cameriera e un domestico, che si devono comunque pagare. Si coccola con tazze di cioccolata, secondo la ricetta appresa a casa del compositore Tomaso Albinoni che, oltre alle istruzioni per prepararla, non perde occasione per fargli recapitare l’invito per il debutto della sua nuova opera. Ed è proprio mentre assapora una tazza di tale nettare che il suo domestico bussa e, una volta invitato ad entrare, gli porge una lettera con il Sigillo della Serenissima Repubblica di Venezia, ovvero il leone marciano alato. Nella missiva si comunica che il capitano degli sbirri lo attende alla porta per scortarlo a Palazzo Ducale, dove è atteso da Sua Eccellenza Matteo Dandolo, l’Inquisitore Rosso. Antonio Canal ha la netta sensazione che il peggio debba ancora venire...
Lo avevamo lasciato a Firenze, alle prese con i tumulti del cuore e dell’animo di un giovane Dante Alighieri e lo ritroviamo, in un perfetto mix tra realtà e fantasia, nella Venezia del Settecento con un inedito Canaletto nelle vesti di investigatore. È così che Matteo Strukul continua a stupirci nella sua perfetta capacità di incastonare di volta in volta il thriller che ha in testa in una atmosfera storica fatta di personaggi ed eventi veri e di location reali. Con lui e Antonio Canal ci si perde tra calli e ponti nel seguire la trama del romanzo, si conoscono pezzi di storia minore che non avevamo mai approfondito (come il ghetto ebreo di Venezia o la peste), si incontrano personaggi, come Marietta Barovier, che meritano di essere conosciuti e non soltanto per le sue “perle rosette” - quelle murrine di forma allungata che, se pur avevamo visto fisicamente, non conoscevamo nella loro storia così particolare - ma soprattutto per una tradizione di vetrai portata avanti da una donna. Ed è piacevole che Strukul, in questo senso, lasci lo spazio alle donne, al punto da eleggere una imprenditrice vetraia anche tra i personaggi del suo thriller storico. Interessanti tutte le spiegazioni, affatto noiose (come, invece, le avevamo percepite a scuola, ma del resto non avevamo Strukul come professore!) di come si svolgeva il lavoro del pittore Canaletto con la camera ottica, attraverso il gioco di lenti che regalava prospettive di scorci e immagine veritiere per cui anche oggi il pittore è famoso nel mondo. E poi gli eretici della religione ebraica, ripescati ad uso e consumo di chi vuole soggiogare Venezia. La corruzione della Serenissima non fa altro che sottolineare come, per il potere, c’è chi è disposto a tutto: è sempre stato così e lo sarà, purtroppo, per sempre. E poi, alla fine di intrighi, cattiverie, coperture massoniche, ecc., il Canaletto innamorato della bella Charlotte, mai persi di vista da chi non sa perdere.