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Il codice dell’illusionista

Il codice dell’illusionista

Tuva sta aspettando impaziente Daniel che deve darle il cambio al bar, per poter scappare a prendere Linus all’asilo. È già parecchio in ritardo e anche se i muti rimproveri del personale non la toccano più, sa che lui sarà triste, ha solo tre anni. Non è facile tirare avanti nella vita di tutti i giorni e per quanto Tuva ci provi, barcamenarsi e crescerlo da sola è faticoso. Il padre del bambino se n’è andato portando via tutta la sua roba mentre lei era in ospedale a partorire e non si è più fatto né vedere né sentire. Daniel continua a non arrivare, ormai è in ritardo di un’ora, ha dovuto svegliarlo lei con una telefonata alle due del pomeriggio, ma finché lui non viene a darle il cambio, lei non può lasciare il bar. Sicuramente con Linus ad aspettarla ci sarà Matti, l’educatore che da qualche tempo il bambino chiama “papà”, aumentando ancora un po’ il suo senso di colpa, insieme alle lacrime di un figlio che aspetta la mamma che non arriva. Prepara due caffè da asporto, pronti proprio nel momento in cui Daniel fa il suo ingresso sulla soglia, calmo e coi capelli in aria, portando nel bar anche il freddo pungente di febbraio. Tuva lascia un caffè a lui che sembra averne bisogno e afferrando il suo, esce nella neve, già vestita nell’attesa, e si precipita a prendere il suo bambino...

Thriller psicologico scritto a quattro mani con Henrik Fexeus, mentalista di fama internazionale, e strutturato su due piani temporali che poi confluiscono, elemento caratteristico delle opere di Camilla Läckberg. Molto particolareggiato in ogni aspetto, le descrizioni sono vivide – altra peculiarità stilistica dell’autrice – e ben caratterizzati i personaggi, ognuno con il proprio vissuto complicato, più o meno gestibile, e le proprie particolarità, che permettono di renderli più veri. Nonostante sia così corposo e ricco di dettagli che poco c’entrano con la storia e offrono invece percorsi secondari o paralleli, la scrittura è coinvolgente: anche se essi distraggono dalle vicende principali e dilatano lo spazio fino a riempirlo, lo rendono più reale, creano supporto e struttura alle vicende e ai personaggi, dando al lettore tutto il tempo per entrare nella storia ed essene assorbito, creando un amalgama irresistibile. Al contrario di molti romanzi scritti in epoca post-pandemica non fa riferimento diretto al COVID-19, però la misofobia di Mina forse vuole richiamarlo. Ancora una volta Camilla Läckberg porta l’attenzione sulla violenza verso i deboli e le donne, ma non solo, sono infatti molti gli elementi importanti trattati nel romanzo: le ossessioni e le fobie, la dipendenza, la diversità e l’unicità di ognuno, il razzismo e il potere negativo della mente sulle fragilità. Importanti anche il simbolismo di alcuni aspetti come l’illusionismo che diventa metafora di quanto l’illusione faccia parte delle nostre vite, attraverso le bugie e atteggiamenti insinceri. Qualche segreto lasciato in sospeso lascia l’acquolina per il seguito (già uscito). Peccato per il finale un po’ inverosimile, ma è un peccatuccio che si perdona facilmente.