
Martinica, 1936. Firmin Léandor è il comandante in capo di una fattoria nel comune di Rivière-Salés. Nelle due vaste piantagioni si coltiva e si raccoglie la canna da zucchero. Nonostante lo schiavismo sia stato abolito, sull’isola delle Antille facente parte dell’impero coloniale francese i bianchi detengono il potere e le proprietà di tutte le fattorie e piantagioni. Il lavoro più duro è destinato ai neri, sorvegliati e diretti dai comandanti mulatti come Firmin. Tutta la loro vita è regolata dal ciclo vitale della canna da zucchero e ogni energia si concentra nei cento giorni della raccolta, durante i quali nessun gesto viene lasciato al caso, nessuna distrazione è concessa , “e anche dormendo, il negro che lavora nella canna sogna la canna, è abitato dalla canna. Perfino ossessionato”. E per Firmin, che da raccoglitore ha scalato la gerarchia dimostrando il suo valore e la sua dedizione, è più di un lavoro. Per lui la canna da zucchero è un amore, una passione che si affianca a quello per la moglie Élèonore; un amore che va coltivato, controllato e tenuto sulla retta via. Ma il lavoro è durissimo e il razzismo regna anche tra i raccoglitori. Le donne partoriscono tra le canne e poi ricominciano a lavorare, c’è chi imbroglia per raggiungere la propria quota di raccolto giornaliero. Il mare è lontano dalle piantagioni, il caldo toglie il fiato e le energie. Ma tutto il mondo di Firmin è lì, tra la fattoria, la piantagione e la raffineria e i cambiamenti sono difficili da accettare. Le scelte che la vita impone non sono semplici decisioni, ma vere e proprie trasformazioni che mettono a repentaglio tutto ciò che fino ad allora si è coltivato, proprio come la salute di una pianta di canna da zucchero esposta alle intemperie…
Quinto romanzo in lingua francese per lo scrittore nato nel 1951 in Martinica, che alterna libri francofoni a opere in creolo e che fu promotore negli anni Settanta del movimento letterario della Créolitè. La storia personale di Firmin, uomo integerrimo, di principi che si potrebbero definire saldi nel contesto della vita in Martinica all’epoca dei fatti, si inserisce all’interno di un quadro più generale non particolarmente noto. Data la trama, si potrebbe pensare a una storia tragica e permeata di violenza, ed episodi del genere certo non mancano. Eppure, il tono ironico permea il libro e lo rende più leggero, regalandogli ritmo e consistenza. Sembra quasi si percepire, nello stile veloce ed energico, quella particolare dote naturale che le persone di colore possiedono per il ritmo musicale, che li fa ballare anche quando non vorrebbero. Nelle parole e nei racconti dei raccoglitori e dei comandanti affiorano notizie sulla lontana Europa, sulla lontana patria francese in procinto di diventare territorio bellico. Tra i raccoglitori regna l’analfabetismo, eppure in pochi abbandonerebbero quel luogo per andare nella capitale in cerca di un lavoro diverso. E tra questi c’è Firmin, comandante dello zucchero e uomo ligio al dovere. Il romanzo, dunque, apre orizzonti poco conosciuti, grazie anche all’uso frequente di espressioni in lingua creola, e ci fa entrare in un mondo, quello del colonialismo, da poco scomparso ed oggi trasformato in meta turistica.