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Il copista come autore

Il copista come autore

Spesso ci dimentichiamo che, ad eccezione di alcuni frammenti di testi scritti da letterati poco noti e conservatisi su papiro, di tutte le altre opere composte nel corso dell’età classica e - come si dice - “giunte fino a noi” in realtà non ne possediamo alcuna in versione originale. Occorre, dunque, rendere merito al copista se oggi noi possiamo leggere e assumere conoscenza di trattati filosofici, cronache storiche, commedie e tragedie, poemi e liriche, orazioni ed epigrammi che dall’antichità greca e romana sono riusciti a sopravvivere fino all’epoca in cui la loro salvezza fu presa in carico dai tipografi. Ma vi è un aspetto ancor più importante a cui non pensiamo affatto. Ovvero che il copista, nello svolgimento della sua preziosa funzione di traghettatore di opere classiche, di fatto si è comportato non propriamente come un mero trascrittore, ma piuttosto come un autore. Dunque, il copista sarebbe il vero autore dei testi che ci ha tramandato? Secondo l’autore sì, perché le parole che li compongono sono passate prima attraverso il vaglio della sua testa, poi sono state messe in salvo grazie alla destrezza della mano nel tener dietro alla dettatura interiore. Lo stesso Borges, nel comporre il racconto Pierre Menard, autore del "Chisciotte", concepisce una situazione mentale identica a quella del copista. Il Menard dice che nella scrittura è sostenuto da due precetti spontanei ma antitetici, che gli consentono di sperimentare varianti di tipo formale o psicologico pur imponendogli di restare fedele all’opera originale. Ovvero il Menard vuole riscrivere il Don Chisciotte, ma alla fine lo ricopia. L’operazione messa in atto si rivela complessa. Egli dove essere nel XX secolo un romanziere del secolo XVII...

Se Borges, mediante il concepimento del racconto Pierre Menard, autore del "Chisciotte" definisce i due risvolti dell’ambiguo mestiere del copista, Il copista come autore è uno dei libri più necessari per avvicinarsi alla storia e al significato culturale del fenomeno, allo studio e all’approfondimento della natura creativa del lavoro filologico. Pubblicato per la prima vola nel 2002, il testo era da tempo fuori circolazione. Cosicché, dato il valore prezioso in esso contenuto, siamo assai grati all’editore Sellerio di averlo dato nuovamente alle stampe in una nuova versione, arricchita da un ulteriore capitolo, in cui Luciano Canfora - esimio storico del monto classico e valente saggista critico – decide di mettere al centro del testo la componente più estrema del lavoro del filologo: quella del falsario. Ovvero di quei copisti che, sospinti dal desiderio di sottrarre i testi alle fauci voraci e obliose del tempo ma insieme avvinti dalla malia seduttiva dell’ispirazione, hanno dismesso le vesti asettiche del copista e indossato di fatto quelle di autore. Nessuna delle opere pervenute da allora fino a noi si è conservata in forma originale. Gli stessi autori le variarono più volte, al resto pensarono i copisti. Ma le indagini, condotte con la consueta acribia dello studioso da parte di Canfora, hanno uno scopo ben definito che rendono la lettura di questo libro ancor più stimolante e necessario. Appurare fin dove inizia l’utilità dell’opera del copista e dove invece l’inganno. Per tentare di mantenere il più possibile in vita il filo che ci lega in maniera rassicurante all’autore del testo che teniamo tra le mani.