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Il corpo della femmina

Il corpo della femmina

È in un pomeriggio di primavera che Erica prova per la prima volta la vergogna di possedere un corpo. A scuola, in mezzo agli altri bambini, ce n’è uno col muso da topo e i capelli finissimi. Luca, questo il suo nome, decide che Erica è la sua fidanzata e lei accetta senza opporsi. Durante una partita di calcio il bambino segna un gol e viene applaudito dai compagni. Un paio di giri di corsa per sancire il trionfo e poi eccolo piombare su di lei, infilarle la mano nella maglietta e tastarla sul petto con la sua “zampa di topo”. Tanti piccoli tocchi che la turbano, la fanno sentire come se avesse qualcosa di rotto dentro. Erica decide di non guardare altre partite di calcio, ma non basta. Il topo trova un altro modo per divertirsi, prende l’abitudine di spalancare tutte le porte dei bagni delle femmine per sorprenderle quando fanno pipì. Come difendersi? Erica smette di bere, ma funziona solo per un paio giorni e il succo datole durante la merenda tradisce i suoi intenti. Nemmeno andare in bagno in gruppo aiuta, le maestre, in uno slancio di educazione paritaria, tolgono tutte le porte. In fondo i bambini sono tutti uguali e non devono avere pudori. Ma la vergogna arriva anche in altri momenti, quando è in cantina con la madre, intenta a raccogliere le lenzuola e all’improvviso percepisce il peso di tutta la carne che la compone e i trucchi per non pensarci non la aiutano, concentrarsi su punti precisi non basta. Il suo corpo, il corpo di sua madre, i corpi delle altre, i corpi delle modelle sulle riviste, quelli alla tv. I corpi sono ovunque. In casa, sotto le coperte, la pace dura poco. Su di lei incombe Noemi, sua sorella maggiore di quattro anni, che la odia e la sottopone a ogni genere di tortura, senza che i genitori sospettino (o forse sì?) ciò che subisce...

“Resistenza e sopportazione del dolore diventarono il nucleo della mia disciplina. La paura di morire mi abitava insieme alle altre cose dell’infanzia: la spensieratezza, il gioco, le amicizie, lo sport, la scuola. La consideravo naturale, come anche la violenza e l’odio”. Il dolore, fisico ed emotivo, la sua sopportazione sono una costante dell’esistenza. Al dolore non ci si oppone, è questo che Erica, la protagonista del romanzo d’esordio di Veronica Pacini, impara fin dall’infanzia, quando acquisisce consapevolezza di sé, del suo corpo di carne vulnerabile. La violenza è normalità quotidiana in tutti i suoi aspetti, gli abusi sessuali che subisce da parte dei ragazzi fin dall’adolescenza fanno parte del pacchetto. Le molestie sono normali e necessarie, sono il segno dell’accettazione. Quando un ragazzo le mette le mani addosso significa che piace, non è da scartare, esiste, merita qualcosa, quindi stringe i denti e chiude gli occhi, e sopporta e aspetta che finisca. Non esiste giusto o sbagliato, è così e basta. Impeccabile il lavoro di costruzione psicologica del personaggio di Erica, il suo background familiare e sociale, che uniti al suo carattere remissivo la portano a essere la donna che è. Stimoli negativi e brutalità, contatti fisici pretesi con la forza, totale annullamento della volontà individuale per aderire a uno schema sociale accettato. Nel tempo Erica sperimenta e si punisce, impara a conoscere ogni aspetto del proprio corpo e di sé, porta avanti la sua carriera scolastica, si laurea, viaggia, lavora, non perde i contatti con la sua famiglia e torna a casa quando è necessario, con una maggiore consapevolezza delle relazioni, delle loro ombre, della vita. Laureata in antropologia a Parigi, la Pacini ha precedentemente pubblicato vari racconti comparsi in antologie. Con questo suo primo romanzo ha dato vita a una storia dura, a tratti spietata, con un linguaggio ricco, elaborato, intimo, che permette al lettore di entrare a fondo nella vita di Erica, nella sua evoluzione emotiva e accompagnarla lungo le tappe di una tormentata esistenza.