
Morgante che sente su di sé il peso dello sguardo silenzioso e indagatore del suo dirigente, che sa dubitare della sua produttività. Già il secondo sguardo in un anno, sa anche che è un brutto segno... Il male di Aguiaro totalmente inspiegabile, un “brodo gelatinoso” in cui si sente di vivere, tra inquietudine interiore e tranquillità esteriore, come se qualcosa, dei parassiti (i “cinesi”), gli corressero sotto pelle... Un uomo che si bea della propria simmetria somatica, cioè della propria perfezione, a tal punto da sentirsi un poeta moderno, perché la poesia moderna è simmetria, così come è poesia il mestiere che svolge, composto di cifre e cosa c’è di più perfetto e simmetrico delle cifre?... Mozzoni ha una vita regolare, ciclica: sveglia alle 7, lavoro, pausa pranzo, lavoro, passeggiata in centro, cena, letto. Sposato con un figlio. Eppure è infelice, inquieto, cosa lo turba?... Marito e moglie da qualche tempo discutono in merito ad una questione: il personale di servizio è da ritenersi fatto della stessa “pasta umana” dei padroni oppure si tratta di una razza diversa?... Un uomo, marito e padre di famiglia, non riesce più a sostenere la convenzionalità della propria vita scialba e ripetitiva, a tal punto che decide di liberarsene; anzi, di liberarsi di chi gliela rende tale...Una ragazza di ventitré anni non è soddisfatta di sé, della propria immagine, diversa da quella di “tutte le altre”: si veste come loro ma non lo è davvero. Perché non può essere anonima come loro?
Questi sono solo alcuni dei trentatré racconti che compongono Il crematorio di Vienna, opera di congiunzione di Goffredo Parise tra il precedente romanzo Il padrone, di cui condivide la tematica, e la successiva raccolta di racconti I Sillabari, con la quale appunto condivide la forma. Anche in questo caso, Parise raccoglie questa serie di brevi episodi ed elzeviri apparsi sul “Corriere della Sera” tra il ’63 e il ’64 e pubblicati unitariamente nel 1969 (per Feltrinelli). Così come nel romanzo “industriale” precedente, tornano a sentirsi palpabili l’angoscia e l’insofferenza dell’autore per un habitat, quello appunto industriale, ma soprattutto per la mentalità dilagante del periodo. Il boom economico, l’incremento della produttività, il consumismo, la logica del guadagno aggrediscono nel profondo l’essere umano, modificando il suo rapporto con la realtà, rendendolo oggetto tra gli oggetti; non c’è più posto per la cultura fine a se stessa, può anche finire “cremata” per quello che serve. Il tono di Parise è amaro, crudo, a tratti crudele, lo stile quasi sfacciato di chi dà voce a protagonisti coscienti e consapevoli del proprio ruolo, dei propri malati desideri e pensieri. È infatti sparita l’ingenuità che caratterizzava il protagonista de Il padrone: ora tutti i personaggi (volutamente anonimi e confondibili, come lo diventa chi è preda del consumismo) sono coscientemente e volutamente inseriti in questo deleterio meccanismo “nazista”, che l’autore sente premere sempre più anche attorno a sé e da cui sfuggirà proprio grazie ai successivi Sillabari.