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Il cuore è un guazzabuglio

Il cuore è un guazzabuglio - Vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni

Diceva Don Abbondio: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. E chissà che lo stesso non si possa dire anche dell’istinto materno. Giulia Beccaria quell’istinto proprio non lo sente: “vedrai che felicità” le dice la levatrice dopo interminabili ore di travaglio e la fatica di espellere un maschio di cinque chili. Il neonato si chiama Alessandro, Alessandro Manzoni. Ha preso il cognome del padre che poi -come sanno tutti in società- non è il vero padre. È invece opinione diffusa che al concepimento di quel figlio abbia collaborato il letterato Giovanni Verri, con il quale Giulia ha da tempo una relazione. Quel neonato tra i piedi non le ci voleva proprio. Giovanni smette di farle visita, non sopporta l’odore di latte che la puerpera si porta addosso, il medico proibisce alla donna di avere rapporti sessuali e don Pietro, l’anziano marito, se ne sta giorno e notte nel suo studio sommerso dalle proprie scartoffie. Pietro Manzoni, un essere cupo che vive con cinque sorelle nubili, tra le quali un’ex monaca… Giulia troverà un nuovo guizzo vitale nella nuova passione con Carlo Imbonati, con il quale si trasferisce a Parigi che pullula di attività mondane e intellettuali. E Alessandro? Alessandro viene allattato dalla balia Caterina, a sei anni viene messo in collegio con buona pace di tutti. La madre approfitta di una distrazione del piccolo per sparire all’inglese, senza salutarlo: ci pensa il Rettore a reprimere il pianto del bambino con un pedagogico ceffone. Sarà un caso che ne I Promessi sposi il tema della genitorialità sia il grande assente? Quanto riverserà il Manzoni della propria esperienza al collegio nelle copiose pagine dedicate alle vicende della Monaca di Monza? E non è il capolavoro manzoniano una storia costellata di abbandoni? Renzo è orfano, Lucia ha solo una madre anziana, frate Cristoforo – Diavolo d’un frate - che abbandona il suo passato, così come farà l’Innominato. C’è la madre dolente di Cecilia, certo: la figlia è appena morta e presto lo sarà anche lei. Vi è senza dubbio la traccia dei numerosi lutti che afflissero la vita dello scrittore, insomma, I Promessi sposi non è solo quell’opera pensata, ripensata, rimaneggiata e partorita con i lumi della Ragione e della Fede, ma un’opera nella quale l’autore riversa molto, moltissimo di sé. Che poi non era quel barbogio cupo e serioso che ha infelicitato, a chi più e a chi meno, buona parte della scuola dell’obbligo. Brillante conversatore, amante delle battute di spirito e del dialetto, era stato ribelle (a undici anni in collegio si era reciso per protesta il codino della nobiltà) nonché libertino con all’attivo una discreta produzione di versi licenziosi. E adesso chi glielo racconta a qualche professore dallo spirito ministeriale militante?

Partiamo dalla copertina illustrata da Ale+Ale il cui intento editoriale sembra più che deliberato, ovvero quello di farci togliere dalla testa l’idea del Manzoni incarnato nel celeberrimo ritratto di Francesco Hayez nel quale vediamo tutta la pesantezza di un uomo attempato che ci guarda severo di tre-quarti e al quale associamo inconsciamente alla rinfusa parole come Grazia, Redenzione, Provvidenza, Punizione, il trattato del nonno Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, insomma, suggestioni che, assorbite in età adolescenziale, non suscitano certo un istintivo entusiasmo. Sulla copertina de Il cuore è un guazzabuglio, campeggia invece, su sfondo rosso vivace, un giovane moretto, il Manzoni, con l’aria sorniona a metà strada tra Giorgio Gaber e Bruce Springsteen, attorniato da un Renzo acerbo, un Don Rodrigo sul quale molte Lucie avrebbero fatto un pensierino e una Geltrude con la quale qualche peccatuccio ci sta tutto. Insomma, si parte bene, divorando le pagine che Eleonora Mazzoni ha avuto il coraggio di redigere affrontando un tema commercialmente rischiosissimo (un trattato su Manzoni!), andando avanti con la curiosità e la sfida inconscia che l’autrice ci lancia. Verificare se alla fine riesce nell’impresa di farci digerire quella che per molti è stata una tortura scolastica. Ce la fa, e bene, per giunta. Lo fa con una scrittura agilissima ma non banale né sminuente per il tema trattato e per l’intelligenza del lettore, con la capacità di contestualizzare il narrato nell’ambito del costume e delle prospettive socioculturali storicamente date, con un pizzico di capacità di introspezione psicologica e con tanta passione. Si percepisce in tutto il trasporto dell’autrice per l’analisi storica, per la figura di Manzoni e per la sua opera più nota che lei stessa definisce “un libro meraviglioso di guerra e di pace” centrando totalmente definizione e obiettivo. Versatile, molto versatile Eleonora: laurea in Lettere, diploma in recitazione, un buon palmarés da attrice teatrale, cinematografica e televisiva, sceneggiatrice con all’attivo pubblicazioni varie e il romanzo d’esordio Le difettose . C’è da aspettarsi tante cose buone ancora.