
La mamma cosparge Jas Mulder e i fratelli col grasso da mungitura – quello che odora di mammelle stufate e che a Jas dà il disgusto – per proteggerli dal gran freddo. Li unge e li maneggia con decisione, come quando controlla la maturazione dei formaggi che producono alla fattoria e che ogni giorno la donna assaggia col succhiello d’argento. Mancano due giorni al Natale, sul tavolo della colazione ci sono i tovaglioli natalizi, quelli con gli angioletti con il pisello coperto, il pane bianco e i panini dolci con l’uvetta, la cioccolata bicolore che è in tavola soltanto per le feste e che il fratello di Jas, Matthies, sta scavando con attenzione dalla parte bianca. Vicino ai piatti la mamma ha messo dei sacchetti da freezer da mettere sui calzini, per tenere i piedi all’asciutto. Dopo la preghiera Matthies si alza e si sistema i capelli, dritti sulla fronte come due riccioli di burro, annunciando che andrà al lago per partecipare ad una gara di pattinaggio. Jas non potrà andare con lui, sebbene i polpacci della ragazzina siano duri per il tanto allenarsi, perché si spingeranno dall’altra parte del lago e lei è ancora troppo piccola. La famiglia non andrà a vedere Matthies pattinare, un vitello sta male e le mucche, lì alla fattoria, vengono sempre prima. Jas è molto arrabbiata, tanto che prega Dio di prendersi il fratello al posto del suo coniglio Dieuwertje – sospetta che il papà voglia servirlo per la cena di Natale. Sarà il veterinario di lì a poco, mentre Jas e la sorellina Hanna stanno facendo il bagno e il fratello Obbe aspetta il suo turno, a dar loro la terribile notizia: “Vostro fratello è morto”...
Un giorno di festa, un desiderio pronunciato con l’ingenuità dell’innocenza, una perdita improvvisa e straziante aprono il potente esordio narrativo di Marieke Lucas Rijneveld, considerata una delle migliori promesse del panorama letterario olandese e già miglior debutto poetico nei Paesi Bassi nel 2015 con la raccolta Kalfsvlies. Il disagio della sera ci parla di morte, paura, assenza, con una maturità e una consapevolezza che sconcertano e incantano ci costringe a saggiare la consistenza del dolore. Il vuoto lasciato dal primogenito Matthies diviene per la famiglia Mulder un dolore compatto, che stringe e avvolge, come il giaccone che Jas non vuole più togliere per paura di ammalarsi e morire. Un dolore che pesa come le tasche e la pancia piene di tutto ciò che la ragazzina non può e non vuole lasciar andare, che si accompagna al senso di colpa, amplifica i desideri inespressi e urlati, tinge di ambiguità i primi avvicinamenti al sesso. Scomparsi Matthies e le parole per ricordarlo sembra non esserci più spazio per la normalità, per la leggerezza e l’affetto, stretti tra la Parola di un Dio onnipresente ma silenzioso e l’assenza della parola stessa in una casa spogliata di ogni calore. Tutto allora sembra dissolversi, come la figura della mamma che ha smesso di mangiare, o farsi sempre più opprimente, nell’attesa di una nuova piaga da affrontare. Non c’è conforto, protezione o guida per i tre fratelli superstiti Jas, Hanna e Obbe, i “Re Magi” impegnati a sfidare la vita e soprattutto la morte, immaginandola e cercandola per comprenderla con i propri, spesso ingenui – ma non per questo meno consapevoli e strazianti – strumenti di bambino. Uno sguardo al limite, quello di Jas, “troppo grande per credere alla fatina dei denti, ma troppo piccola per non desiderarla più”, che non può più essere candido e che cerca, dolorosamente, rabbiosamente, di affermare la propria esistenza, di arrivare in qualche modo a trovarsi. La Rijneveld scava a mani nude, capitolo dopo capitolo sino al finale, una profonda voragine nelle certezze e nel cuore del lettore, col suo linguaggio concreto, essenziale, crudo ma delicato, attraverso immagini fatte di consistenze e carne, di poetica e disarmante materialità.
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