
Adrien ha quarant’anni e gli sembra che la sua vita non potrebbe andare peggio. È a cena con la sua famiglia, una di quelle cene inutilmente lunghe e al limite della tortura, e mentre sta appunto pensando che non potrebbe andare peggio accadono due cose che lo gettano nello sconforto più totale: Sonia, la ragazza con cui sta da circa un anno e gli ha inspiegabilmente chiesto una pausa di riflessione visualizza il suo messaggio senza rispondergli; e Ludovic, il promesso sposo di sua sorella, gli chiede di tenere un discorso durante la cerimonia per il loro matrimonio. Così ha inizio un lungo monologo in cui Adrien – convinto che la non-risposta di Sonia possa segnare la fine del loro amore e che il discorso al matrimonio sarà l’ennesima occasione per deludere tutti i suoi cari – approfitta di ogni tema trattato a cena per raccontare tutto ciò che ha preceduto quella serata: il rapporto con sua sorella Sophie, fatto di “non detto” e regali sbagliati; il rapporto con i suoi genitori, perennemente preoccupati perché non ha mai portato una ragazza a cena ma mai abbastanza interessati al suo benessere psicofisico da suggerire qualcosa di più che “farsi una spremuta d’arancia”, e la relazione con Sonia, che per più di un anno era stata felice e spensierata e che all’improvviso sembra scivolata in un baratro. Ad Adrien non resta che sperare in quelle piccole ma evidenti incrinature che forse, nell’infinito continuum spazio-temporale di quelle cene, possono rompere l’equilibrio familiare e portare alla svolta...
Il filo conduttore che tiene insieme questo lungo e a tratti esilarante monologo è la superficialità, di cui Adrien accusa chiunque gli stia attorno, per aver sempre fatto affidamento esclusivamente sulle apparenze, sull’importanza di sembrare felici e sereni: come famiglia, come coppia e come individui. Nell’analizzare singoli e minuziosi dettagli (il quadro con la frase motivazionale nel bagno, l’oroscopo, la scelta del dessert, il portastrofinacci di compensato dalla forma fallica) cerca di mettere in evidenza, con cattiveria e foga quasi eccessivi, l’ipocrisia di tutti i suoi conoscenti. E se in parte si auto assolve da questa critica generale di apparenza, non manca di evidenziare il suo più grande difetto: essere invisibile. Essere così spaventato dalla possibilità di non essere all’altezza da lasciarsi scorrere addosso di tutto, da non alzare mai la voce, non manifestare mai dissenso o più semplicemente, emozioni. E allo stesso tempo, sperare segretamente nel caos, in una scintilla che ribalti interamente la sua quotidianità e lo porti ad essere l’eroe che nessuno si aspettava. Il personaggio di Adrien oscilla tra l’ironia e l’inadeguatezza di Bridget Jones e l’inettitudine di Zeno Cosini (non a caso è un fumatore: “Ho quarant’anni e un pacchetto di tic tac nel cruscotto per nascondere ai miei genitori che fumo, ecco come sto messo”). Fabrice Caro riesce abilmente a costruire un monologo divertente e molto scorrevole nonostante la complessità dei temi trattati. Davvero bello, da leggere tutto d’un fiato!