
Stadio di Wembley, 1925. Dieci milioni di radioascoltatori sentono per la prima volta in una trasmissione alla nazione la voce di Albert, Duca di York. Alla prima frase il figlio di Sua Maestà Re Giorgio V si ferma, rimane in silenzio e poi tentenna, farfugliando le sue poche parole. Tutti in quell’istante scoprono con grande imbarazzo il suo problema: Bertie, come lo chiamano nell’ambiente familiare, è balbuziente. Pur avendo avuto modo di vedere luminari e professoroni, non è riuscito a superare questo fastidioso impasse sociale. Sua moglie Elizabeth, però, ha sentito parlare di un esperto, giunto a Londra dall’Australia, dai modi poco raffinati ma efficaci che ha lo studio ad Harley Street. Al loro primo incontro, Lionel Logue dimostra di avere poca dimestichezza con l’etichetta, parlandole dal gabinetto con estrema nonchalance, citando passi dell’Amleto di Shakespeare. L’uomo non è evidente avvezzo ad avere a che fare con la famiglia reale, ma la sua professionalità è nota in tutta la città. Elizabeth convince Albert a superare i suoi timori e a recarsi da Logue. Il capace logoterapista coglie il disagio che vive il Duca quando ascolta la sua voce incerta e, mettendo in pratica il suo metodo, gli chiede di leggere un testo ascoltando contemporaneamente della musica ad alto volume in cuffia. La voce viene registrata su un disco che viene consegnato a Bertie. Una sera, preso dai soliti fastidi notturni, riascolta sé stesso pronunciare con enorme sorpresa un discorso senza alcun accenno alla sua dannata balbuzie…
Uscito nelle sale nel 2010, Il discorso del re ha subito ottenuto la giusta acclamazione che si meritava. Sotto l’attenta regia di Tom Hooper, attori del calibro di Colin Firth, Geoffrey Rush e Helena Bonham Carter hanno convinto sia il pubblico che la critica con le loro egregie prove attoriali, ottenendo premi e riconoscimenti, dai Golden Globes ai Bafta. La sceneggiatura originale di David Seidler, commediografo e autore televisivo britannico, che due anni più tardi ne ha tratto questa pièce teatrale, ha ricevuto giustamente l’Oscar. La versione italiana è stata tradotta da Luca Barbareschi che nell’ottobre 2012 ha iniziato la sua personale avventura con Il discorso del re, portandolo sul palcoscenico dei principali teatri italiani. Le chiavi di lettura di questo testo teatrale sono molteplici: si va dal rapporto tra il terapista e il paziente, due personaggi diversi, potremmo dire “agli antipodi”, creando un’involontaria boutade, legato a regole ed etichette uno, pragmatico e più terra terra l’altro (lo stesso Seidler in un’intervista ha sottolineato come il personaggio di Logue doveva essere inevitabilmente australiano perché un inglese non avrebbe mai creato un rapporto diretto e amichevole con un regnante, facendo crollare ogni barriera sociale); la responsabilità dell’essere sovrano di un grande impero, che coglie Albert impreparato, causandogli un terror panico che gli mozza la lingua; la fragilità di entrambi di fronte ad una società che sembra voler minare le loro certezze e contro cui non è facile combattere.