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Il dono

Il dono

Virginia, 1600. Florens non sopporta di stare a piedi nudi e chiede le scarpe a sua mamma che si arrabbia per queste “arie da signorina” ma cede e le lascia portare qualche calzatura buttata via da qualcuno, un tacco rotto o consumato, una fibbia sola. “Solo le donnacce portano i tacchi alti” e lei non avrà mai la pianta dei piedi forte, di cuoio duro e resistente come la vita richiede, ma solo piedi troppo morbidi, da signora portoghese. E mani da schiava. Ha circa sette o otto anni quando Senhor la cede al signore per onorare il suo debito: è sua madre a insistere perché lui la prenda, mentre tiene il fratellino piccolo in braccio appoggiato al fianco. Adesso ormai ha circa sedici anni e si mette in cammino per cercare lui, indossando gli stivali del signore pieni di fieno e cartocci di mais, e con una lettera che fa prurito infilata nelle calze. Sa leggere e scrivere, ma non la legge. La strada è lunga, estranea e pericolosa, ci sono gli orsi, uomini sconosciuti e uccelli giganti, più grossi delle vacche, ma Florens ha un compito preciso e importante, deve trovare lui e questo la rende felice e spaventata, perché tutto è nuovo e deve lasciare l’unica casa e le uniche persone che conosce, ma lui finalmente le poserà ancora il mento tra i capelli e lei respirerà contro la sua spalla...

Un romanzo breve ma estremamente suggestivo e intenso è Il dono, nel quale Toni Morrison lascia semplicemente parlare i suoi personaggi senza mediazione, ognuno con il proprio bagaglio culturale e la propria personalità: non sono precisamente delineati dal punto di vista estetico o caratteriale, ma al contrario sono invece perfettamente contestualizzati, ognuno con la propria storia e il proprio bagaglio di dolore e sofferenza. La narrazione infatti alterna capitoli in terza persona dedicati a personaggi diversi e altri in prima, dove a raccontare è Florens, con uno stile evocativo e orale, quasi onirico, come una scrittura per associazione di idee apparentemente nonsense. Non è una lettura semplice e scorrevole, anche per la struttura sintattica e grammaticale, ma superato il primo impatto diventa musicale, cantilenante e avvolgente, da narratore antico. Sa di tempi e luoghi lontani. La storia procede quindi in asincrono, ricostruita da angolazioni diverse: ogni punto di vista la arricchisce di dettagli. Un romanzo che evoca il dramma della schiavitù, non solo nel significato più evidente e raccontato, ma anche in altre forme meno esplicite come per esempio la sottomissione femminile, oppure la perdita di stimoli e obiettivi: “È sfiorire dentro che fa diventare schiavi e apre le porte a quello che è selvaggio”. Dolore, smarrimento, solitudine, sacrifici e sogni infranti, rinunce, amore, morte, incertezza nel futuro, abbandono, malattia, disperazione, ignoranza, povertà la rendono un’opera forte e impattante. “Ricevere il dominio su un altro è difficile; lottare per il dominio su un altro è sbagliato; cedere il dominio di sé a un altro è male”.