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Il dottor Glas

Considerato da tutti un medico “coscienzioso e attento”, il dottor Tyko Gabriel Glas nasconde una natura inquieta: “La gente avrebbe forse meno fiducia di me se sapesse come dormo male”. Nel suo diario domina il refrain “Vita, io non ti capisco”, ma soprattutto, in seguito a un trauma, a trentatré anni Glas non è mai stato con una donna, né l’ha mai desiderato davvero, considerato che trova abominevole il sesso (“Perché la vita della nostra stirpe deve essere conservata […] proprio tramite un organo che diverse volte al giorno utilizziamo come scarico delle impurità?”), quanto la procreazione (“Un letto di morte desta raramente un’impressione così orrenda come un parto, questa spaventosa sinfonia di urla e di sporcizia e di sangue”). Glas prova comunque una fascinazione estetica per l’altro sesso, tant’è che, quando una donna a lui gradita gli chiede di praticare un aborto, poiché il nascituro sarebbe frutto di una tresca, pur di salvarla Glas decide di eliminarne il marito, il viscido pastore Gregorius: la modalità più realistica è l’avvelenamento attraverso delle pillole da lui sintetizzate. Glas soppesa a lungo pro e contro, riflette su delitto e castigo, morale e istituzioni, e si chiede cos’abbia da perdere uno come lui, un uomo che ha intrapreso “un sentiero così diverso da quella di tutti gli altri, così lontano dalla strada maestra”. Finché un giorno, quasi per costringersi, scrive nel diario: “Io voglio agire. La vita è azione. Quando vedo qualcosa che mi indigna, voglio intervenire”…

Forse Il dottor Glas (1905) sarebbe meno sconosciuto se in duecento pagine non parlasse ruvidamente di aborto, violenza sessuale, prostituzione, suicidio, omicidio ed eutanasia (“Verrà il giorno – deve venire – in cui il diritto di morire sarà riconosciuto come un diritto dell’uomo”), se il protagonista non esprimesse una visione antinatalista talmente spicciola da far impallidire quella di Ligotti (“Tanta sofferenza e miseria per un piacere così breve”), se le riflessioni sull’omicidio non fossero didascaliche, e se il politicamente scorretto non degenerasse in derive eugenetiche (anche se è il personaggio a parlare, non l’autore). Eppure si tratta di un gran romanzo, che merita comunque di essere annoverato tra i classici. Söderberg riparte dal dilemma morale di Raskòl’nikov e per spingersi oltre affida il delitto a un medico, il quale, diversamente da uno studente squattrinato, ha qualche possibilità di rimanere impunito. Dal momento in cui Glas intraprende il suo percorso il libro si trasforma in un’opera di convincimento del lettore, quasi un’istigazione a delinquere. Le atmosfere ricordano quelle del più concitato Amok (1922) di Zweig, anche se qui prevalgono le riflessioni, affidate al diario e ad alcune conversazioni. Non denso d’azione, e nonostante la conclusione intuibile, Il dottor Glas riesce a tenere col fiato sospeso, e contiene molti passaggi ispirati (“La morale è quel famoso cerchio di gesso intorno alla gallina: limita chi ci crede. […] È saggio far proprie le usanze di dove si va; è sciocco farlo con convinzione. Io sono un viaggiatore nel mondo; guardo le usanze degli uomini e scelgo ciò che mi può servire. E morale viene da mores, usanze; si basa esclusivamente sul costume, sull’uso; non ha altri fondamenti”). Non siamo nei territori del capolavoro (anche perché Söderberg non crede davvero alla sua storia, strumentale a riflessioni estreme e provocatorie), ma si tratta comunque di un caposaldo della letteratura svedese. Al contempo, non si fatica a immaginare perché non sia mai apparso nel catalogo di Iperborea, che pure ospita un titolo dello stesso autore: la grande letteratura non dovrebbe essere soggetta al vaglio morale, ma c’è quantomeno un confine della gradevolezza che sarebbe meglio non superare, e qui Söderberg si è posto l’obiettivo di non scorgerlo più all’orizzonte. Il dottor Glas è pertanto consigliato a tutti quei lettori annoiati dalla narrativa immolata ai buoni sentimenti; al momento è in commercio per Lindau, che dello stesso autore ha pubblicato anche Smarrimenti e Il disegno a inchiostro e altri racconti.