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Il duca

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Nei cieli di Vallorgàna non sono rari gli i combattimenti tra poiane e cornacchie, come se portassero avanti antichi rancori, come tra gli uomini. Il Duca le guarda dalla finestra. Le cornacchie sono tante, invasive, hanno colonizzato le siepi e gli alberi della villa. Lui è l’ultimo erede di una famiglia aristocratica decaduta, i Cimamonte, ma in paese lo chiamano Duca per ironizzare. L’immeritato titolo nobiliare gli deriva da suo nonno Ausilio che in età anziana iniziò a frequentare le osterie, a vestire in modo strampalato, a fraternizzare con i paesani. L’inverno sta arrivando e scaldare la villa non è impresa da poco. Gli antichi camini danno poco calore, specie quello della cucina e la bracciata di legna che ha preso non dà quella fiamma allegra e pulsante. Immerso nei suoi malinconici pensieri il Duca non si accorge che stanno bussando alla finestra: è Nelso Tabióna. Rimane in silenzio, con il suo modo di fare discreto: è questa la sua maniera di annunciarsi. Con lui ha un buon rapporto, potrebbe essere suo padre. Insieme fanno le manutenzioni della villa e sistemano il giardino. Ha un carattere che non ammette errori, Nelso non ne fa mai; quindi, bisogna ascoltare e tacere quando è lui a parlare. “Ti hanno fregato, Duca - dice stizzito - lassù in montagna nei tuoi boschi”. Il Duca sembra non darvi peso. Da dieci anni vive in quella villa, impiegando il suo tempo ad amministrare, con poca voglia, il suo cospicuo patrimonio. Vive per scelta isolato dal mondo, perso negli archivi della biblioteca, tra stemmi e araldica. È rimasto solo lui, i genitori morti in un incidente aereo mentre volavano in Kenya per i loro soggiorni studio. La casata dei Cimamonte negli anni ha accumulato straordinarie fortune. Ha una casa in città, a Berua, che usa per le sue escursioni nella “civiltà”, ma vive la sua vita con indolenza, come se fosse sospesa, in una perenne ricerca. La notizia che lo hanno fregato, però, continua a ronzargli nella testa. In cima alla montagna possiede parecchi ettari di bosco e le motoseghe dei fratelli Cimin hanno fatto bene il proprio lavoro, seicento quintali di legna trafugati. La rabbia del Duca monta. Chi ha assoldato i Cimin? A poco valgono i consigli di Nelso, lui sa come vanno queste discussioni, sono come le valanghe. Il Duca non molla e incalza i fratelli, come se fosse spinto da un antico orgoglio di possesso. Sono stati assoldati da Mario Fastréda, l’altro duca del paese…..

Il Duca di Matteo Melchiorre, dalla raffinata tecnica narrativa, avvince come un romanzo storico imponente e ben strutturato. Fa precipitare il lettore in un mondo arcano, denso di suggestioni e magia. L’io narrante è una figura un po’ fuori dal tempo, quasi inattuale. È l’ultimo erede di un’antica casata, quella dei Cimamonte, quando non è più il tempo dei nobili e dei loro privilegi. Si trova ad essere, come lui stesso dice, “una mela giunta a maturazione nel pieno dell’inverno”. È il Duca che narra e affida al racconto la sua strabiliante esperienza. Il romanzo rappresenta la rottura di una quiete. Dopo dieci anni, vissuti nella tenuta dei suoi avi, una frattura sconvolgerà la sua vita. Questo periodo, in cui tutto verrà buttato sottosopra, dura almeno un anno. Il Duca fa anche i conti con sé stesso, fino a diventare un archeologo del suo animo. Vive in maniera solitaria, è sempre immerso nell’archivio di famiglia, per ricostruire la storia della sua casata, fino all’inizio del XV secolo leggendo la Chronica Cimamontium. È la ricerca del suo ruolo e della sua identità che lo sprona fino allo spasimo. Si sente fuori luogo e parte in causa allo stesso tempo. Il vero motore del romanzo è l’odio che nasce tra lui e il suo antagonista, Mario Fastréda. Un uomo di ottant’anni, scaltro, arricchito, potente che tiene sotto scacco buona parte del paese. Il suo allevamento di bestiame da carne lo rende influente e, l’informale signoria che ha creato lo fa essere impunito e prepotente. La guerra tra i due, che coinvolgerà tutto il paese, ha inizio per una serie di alberi abbattuti dagli operai di Fastréda sulla terra del Duca. Pochi alberi in verità, ma sufficienti per scatenare un serrato conflitto. Solo alla fine del romanzo capiremo il perché di tanto odio. In questa spirale crescente di eventi anche il bosco fa la sua parte. Il Duca si compenetra ad esso fino a confondervisi, fa parte di quel mondo, ne subisce il potere e la magia, che potrebbero però alla fine a stritolarlo. C’è un personaggio che contribuirà a sparigliare le carte: è Maria, la nipote di Fastréda, una donna tenace, spavalda e curiosa, studiosa d’arte, che riesce a fare breccia nell’animo e nel cuore del Duca. Darà voce alla sua coscienza, ai suoi pensieri nascosti e ai suoi nodi irrisolti. Proprio lei che appartiene e non appartiene a quei luoghi, che vive da tempo in città, smantellerà l’esistenza paradossale dell’uomo. Perfettamente descritta è Vallorgàna un paese di mezza montagna, un’area meno seguita sia dal turismo che dalla letteratura. Non è la montagna delle rocce e dei cieli limpidi, della natura sovrana. Questa è una montagna molto antropica, in cui l’uomo ha vissuto tenendosi aggrappato con le unghie e con i denti, lottando ogni giorno contro le avversità. Un paese, come tanti altri simili, che via via si sta spopolando. È un piccolo universo di persone, di racconti collettivi che sono la cultura e la memoria popolare del posto. È un luogo dove la vita di tutti i giorni può essere dura e i rapporti tra le persone non sempre facili. Il Duca è un romanzo che evidenzia la forza necessaria per essere fautori del proprio destino, liberandosi del passato, con un doloroso passaggio di crescita e conoscenza.

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