
V secolo a.C. - “Un tempo Babilonia era il centro di un impero, un grande impero”, queste le parole che il re Dario II pronuncia per descrivere la capitale del suo impero al suo primogenito, il giovane Artaserse. Il racconto, però, non ha lo scopo di mettere in luce lo splendore dell’Impero persiano, bensì quello di avvertire il figlio sui pericoli che lo attendono al momento della sua morte: un re deve necessariamente avere più di un figlio maschio per garantire la successione al trono, ma quegli stessi figli possono rivelarsi nemici e portare via tutto all’erede designato. Quando arriverà il momento, pertanto, Artaserse dovrà uccidere suo fratello Ciro per essere certo che egli non gli si rivolterà mai contro. L’ora della morte di Dario II sta per arrivare e il principe Ciro il Giovane, capo dell’esercito imperiale, torna in patria dalla Grecia con un esercito di mercenari spartani per porgere l’ultimo saluto a suo padre e giurare al fratello, futuro Artaserse II, la sua fedeltà in quanto erede al trono. Il consigliere Tissaferne, da sempre contrario a tutto ciò che di ellenico esista al mondo, lo segue lungo la Grande Strada Reale fino al palazzo di Babilonia, pronto anch’egli a prestare i propri servigi al futuro nuovo re di Persia. Ciro, però, non sa che ad attendere il suo ritorno in Patria dopo anni non ci saranno feste, ma imboscate: i suoi mercenari spartani vengono, infatti, intrappolati nel palazzo reale e sterminati dagli Immortali persiani, mentre lui, dopo essere riuscito a salutare il padre per l’ultima volta, viene rinchiuso in una cella in attesa di essere giustiziato. Artaserse, nonostante la titubanza iniziale, ha infine deciso di seguire il consiglio paterno: uccidere suo fratello per non permettergli, un giorno, di rivoltarglisi contro e rubargli il trono che gli spetta di diritto…
Con questo romanzo storico Conn Iggulden, dopo averci fatto viaggiare nell’antica Roma attraverso la saga dedicata alla vita di Giulio Cesare e all’ascesa di Ottaviano Augusto, nelle steppe dell’Asia all’inseguimento di Gengis Khan, e in Inghilterra durante la Guerra delle due Rose, ci conduce in Persia e nel mondo ellenico post-Guerra del Peloponneso. All’interno del racconto ricorrono, anche marginalmente, personaggi ben noti, come il filosofo Socrate, descritto nella veste insolita di marito e padre di famiglia, amante del buon vino e della piacevole compagnia; Clearco di Sparta, comandante dei mercenari al soldo di Ciro il Giovane nella sua spedizione per sostituire il fratello sul trono dopo il suo tradimento; Senofonte, storiografo ateniese e autore dell’Anabasi, opera ispirata proprio dagli eventi qui narrati. È forse proprio il suo personaggio il vero protagonista del romanzo, colui che vivrà una vera e propria maturazione personale, da semplice soldato dedito alla cura dei cavalli, a intrepido condottiero di quelli che sono passati alla storia come i “Diecimila”. Lo stile di Iggulden è, come sempre, incalzante: le marce serrate dei soldati in lungo e in largo attraverso l’Impero persiano, gli scontri degli eserciti, la polvere e la melma sui calzari, il sole a picco, la fame e la stanchezza si fanno sentire come se le stessimo vivendo in prima persona. Un romanzo che si mangia in pochissimo tempo, che permette a noi lettori di viaggiare nel tempo e nello spazio, e per la cui lettura non è necessario alcun bagaglio culturale o storico pregresso, ma solo la passione per un ottimo esempio di narrativa contemporanea.