
Joseba è stato amico di David, il figlio del fisarmonicista, quel ragazzino con cui ha condiviso l’infanzia e i primi passi da uomo ad Obaba, villaggio basco. Per questo ci tiene ad essere presente al suo funerale, lontano dalla sua terra, in America, in California, dove David si era rifugiato anni prima per non essere schiacciato dallo stereotipo del basco allevatore. La sua non è stata una morte preannunciata, ma questa non è l’unica sorpresa che David lascia in eredità al suo amico: vicino alla sua tomba ci sono infatti le tombe di alcuni animali di casa, come avevano voluto figlie Liz e Sara, ma anche uno strano altare per custodire le parole della sua lingua paterna, il basco. Ogni volta che le figlie apprendono una nuova parola nella strana lingua parlata con disinvoltura dal padre, David stesso la trascrive su un foglio, la legge con le bambine, la spiega e quindi la depone perché se ne faccia la giusta celebrazione. Ma non è l’unico monumento alla sua origine basca: Mary Ann, la vedova di David, consegna a Joseba una delle tre copie di un libro di memorie che David voleva destinare alla biblioteca di Obaba, mentre le altre due sono per la moglie e per le figlie. Obabakoak, questo il titolo della storia, questo il lungo percorso dell’allevatore basco che ha abbandonato tutto per recarsi in California. Joseba riparte prendendo un impegno, quello di trascrivere l’intero testo, arricchendo e riscrivendo alcuni ricordi, ma traducendolo dalla lingua basca in inglese, per rendere eterna la storia di David, il figlio del fisarmonicista...
Tradotto in Italia con colpevole ritardo, l’originale è del 2003, Obabakoak è un romanzo sull’amicizia, sull’amore, sui legami con le proprie origini, vissuti dalla California sullo sfondo di Obaba, in terra basca, negli anni duri della dittatura franchista, del bombardamento di Guernica e poi della ambizione del separatismo basco, del ritorno alla democrazia e dell’affermazione del terrorismo dell’ETA. In un certo senso il testo, che parte dalla fine, dalla scoperta del manoscritto, sconfina fra il nostalgico e l’epico in un mondo rurale, lacerato e complesso, ma anche tratteggiato come un idillio. Giocato in un continuo intreccio temporale fra gli anni dell’infanzia (1957) e quelli ormai della maturità (1999), la trama è un contorto susseguirsi di eventi, in parte stravolti, ma sorretti da una narrazione piacevole che impegna il lettore catturandone l’attenzione fin dall’inizio grazie all’espediente dell’inganno del meta-romanzo, scritto però in una lingua misteriosa ed affascinante, che farcisce spesso il testo, e che è il marchio di un’identità politica e valoriale. Per l’intensità della storia e per l’articolato della trama, Bernardo Atxaga, pseudonimo di Joseba Irazu Garmendia, mostra di meritare a pieno la reputazione di maggiore scrittore basco vivente.