
Samo. L’isola è al terzo giorno di festa: la ierogamia rinnova le nozze di Zeus con Hera. Due uomini sono lontani dalla folla, in alto, sul promontorio di Poseidone: “Bianchi sull’intensità turchina del cielo […] la città, cortigiana stesa lungo l’acqua”. Uno dei due ha diciotto anni e si chiama Pitagora. L’altro è “il maestro che ama ed è amato”, Ferecide. Ha viaggiato tanto, ma poi si è fermato là proprio “per la gioia di donare la sua scienza al giovane meraviglioso da cui sperava di vedersi sorpassare”. Quando la notte cala, i due scendono nella città deserta, mentre “il gregge degli uomini” dorme, a parte coppie di uomini che scivolano furtive, tra cui Policrate – il più forte e il più ricco degli abitanti di Samo – e Tirreno, il fratello minore di Pitagora… “La tua anima è una Gea fertile […] tu soffrirai del lavoro inquieto di tutte le radici, e godrai di tutta la vegetazione crescente”: con simili parole Ferecide insegna a Pitagora l’arte dell’essere un predestinato, un essere puro seppur immerso nella corruzione. Gli altri chiamano Eros, e agiscono in suo nome, colui che dio non è, ma “uno spirito ridicolo e infantile”. Gli altri cercano il morbo laddove il morbo non c’è, semplicemente perché è in loro: “Non esiste notte altrove che negli occhi”. Eppure, anche il gregge riconosce la grandezza delle parole di Ferecide: “Il tuo pensiero e il tuo verbo fanno di te un dio”. Pitagora è tra coloro che “si svegliano e si alzano verso la luce” e che, quindi, vanno chiamati “al monte, dove lo spettacolo s’amplifica”. Egli è, allora, spinto ad andare: oltre Samo e oltre lo stesso Ferecide. Per iniziarsi, conoscersi e conoscere, e innalzarsi…
Pitagora è il tempo giovane, il fiore in pectore che potrà uscire, orgoglioso, dal terreno più fertile. Ad attenderlo c’è un lungo e misterioso cammino d’iniziazione e di crescita. Di pioggia che irriga il seme e di sole che lo culla. Pitagora ha paura, ma sa che quello è il cammino da compiere: il suo. “Siate il seme che col suo sforzo fora il terreno…”. Han Ryner tratteggia i lineamenti del genio, del prediletto che si scontra con l’ignoranza bruta e presunta forte. Dell’eroe che combatte gli uomini per divenire Uomo. L’autore stesso è, da sempre, stato un combattente: anarchico, pacifista e anticlericale. Mantenne posizioni pacifiste contro la Grande Guerra. Tra le sue opere, ricordiamo il celebre Manualetto individualista. Il testo è intriso dei costumi arcaici e di antica saggezza, di immagini profetiche e metaforiche atte a svegliare, ma anche un po’ a cullare al sicuro, il lettore. È la morale (o la non morale) più antica che ritorna come una eco e che ricorda ma non innova: semplicemente rinnova. Le immagini sono canoniche, non ci sono accostamenti arditi. È un tuffo a stile nella classicità più profonda: il lettore si ritrova nel mare d’un altro tempo, di cui, però, si conosce la rotta. Quello che si dice, un po’ già si sa, ma come il sole non conosce tramonto, perché è parte di noi.