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Il fiore di Parigi

Il fiore di Parigi

Una ragazza che pensa come un uomo. È così che Georges De Beauvoir descrive sua figlia Simone. Da sempre orgoglioso dei suoi ottimi risultati negli studi, da quando la ragazza è entrata nella pubertà ha cominciato a trovarla bruttina e sgraziata nonché a criticare e disapprovare tutto ciò che prima di lei apprezzava. Simone, dal canto suo, ha smesso di studiare solo per essere all’altezza della definizione del padre e adesso ogni libro che legge suscita in lei una forte curiosità per quello successivo. Tutto le interessa e niente è al riparo dalla sua sete di conoscenza e dalla sua curiosità. Legge tutto ciò che le capita a tiro, in cerca di un soggetto e del suo tono narrativo. Quel che Simone desidera per il suo futuro è infatti diventare una scrittrice. Con la penna in mano ha la sensazione che il mondo intero gli appartenga, potendo immaginare qualsiasi cosa. È la libertà infatti che Simone desidera e non, come invece tutti paiono volerle inculcare, avere dei figli e un marito. Simone è diversa. Non vuole che le si appiccichino etichette scelte per lei da altri. È Simone, è se stessa, non la persona che gli altri vogliono essa sia. D’altronde non potrebbe contrarre un matrimonio con qualcuno del suo stesso rango nemmeno se volesse vista l’assenza di dote, avendo il padre sperperato gran parte del suo patrimonio in titoli di guerra russi. Simone deve cavarsela da sola. Per questo, dopo aver superato gli esami di filosofia con il secondo miglior risultato del suo corso nell’estate del 1928, decide, a vent’anni, di fare tutto il possibile per accorciare i tempi che la separano dalla tanto agognata libertà.

Caroline Bernard, pseudonimo della giornalista tedesca Tania Schlie, dopo La passione di Frida descrive ne Il fiore di Parigi l’eccezionale esistenza (quantomeno la prima metà) di Simone de Beauvoir, conosciutissima scrittrice francese e icona del femminismo, autrice, tra le altre cose, di opere come Il secondo sesso, Tutti gli uomini sono mortali, Una donna spezzata e Memorie d’una ragazza per bene. Con le dovute licenze creative, Il fiore di Parigi racconta il viaggio verso l’autoaffermazione di quest’icona riuscendo nonostante le difficoltà. Come afferma l’autrice, “quando ci si addentra nella vita di un mito e si scava a fondo, non è escluso che si trovino delle crepe” e, sebbene il romanzo racconti anche delle contraddizioni legate a questa figura, riesce comunque a non snaturarne l’importanza. La protagonista del romanzo viene descritta come una presenza scomoda, una donna mentalmente vivace che in un mondo straboccante di uomini porta avanti la propria volontà di emancipazione attraverso l’istruzione e la cultura - istruzione e cultura ben oltre i limiti dell’accettabile per una donna del tempo - e che per questo va in contro a non pochi giudizi. “Bas bleu” la definisce infatti Georges de Beauvoir, espressione usata per indicare una donna letterata, pedante, saccente, nonché definizione impiegata anche per tacciare di trascuratezza nel vestire: e guai per una giovane donna anteporre l’intelligenza alla bellezza! È dunque nella figura del padre tradizionalista, amato e odiato, che s’incarna tutto il peso del patriarcato ed è proprio a partire da questo che si sviluppa il grande dilemma di Simone. Se da una parte vorrebbe soddisfare le aspettative dei genitori, dall’altra ama la contraddizione e non riesce a dare nulla per scontato senza metterlo in discussione. Due aspetti dal cui continuo incontro e scontro nascerà un mito.