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Il fronte russo

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È il 18 febbraio 2022: Luca Steinmann sta entrando in Donbass. È consapevole di dover documentare quella che, iniziata nel 2014, è una guerra civile a tutti gli effetti, ma non può sapere che nell’arco dei pochi giorni seguenti la Russia avvierà a una gigantesca campagna militare e porterà il conflitto sull’intero territorio ucraino. Poiché all’inizio la maggioranza dei giornalisti occidentali (o praticamente tutti) si reca al fronte passando per Kiev, e perciò transitando dalla parte filoccidentale del paese, Steinmann si ritrova a essere uno dei pochi inviati d’occidente, se non l’unico, a seguire gli scontri dal lato russo: una posizione pericolosa, ma per certi versi privilegiata. Ha infatti modo di parlare con gli ucraini filorussi del Donbass, o di passare lunghe nottate a Donetsk, una città sotto bombardamenti costanti ormai da otto anni, ma anche di intervistare i soldati russi, i membri degli squadroni ceceni che partecipano all’assedio dell’Azovstal e persino alcuni membri della famigerata brigata Wagner. Ne emerge così una visione del conflitto che non è certo molto nota a noi osservatori occidentali, ma che senza dubbio brilla per equilibrio e qualità giornalistica…

Raccontare un conflitto non è mai semplice; farlo poi trovandosi fisicamente non sul versante amico, bensì sul lato degli avversari, è una vera e propria sfida. Steinmann lo ripete più volte nel corso del libro: essere un giornalista occidentale sul fronte russo espone al rischio di essere visto come un nemico da tutti: dagli occidentali in primis, giacché si può essere accusati di fare propaganda per il Cremlino, e dai russi e ucraini filorussi, che costantemente ti guardano con il sospetto che tu sia una spia. Steinmann, giornalista indipendente (collaboratore del TgLa7, di “Limes” e molte altre testate), fa però del lavoro giornalistico super partes la propria battaglia, e cerca perciò di evitare le propagande di ogni fazione, impegnandosi a narrare solo la cupa realtà che lo circonda. Porta così alla luce molte verità che possono risultare non chiare a noi; una su tutte: questa è innanzitutto una guerra civile tra ucraini occidentali e ucraini filorussi, sostenuti e aiutati dai rispettivi alleati. Certo, il rischio di essere equivocato è sempre dietro l’angolo, come ad esempio quando Steinmann scrive da lì un articolo in cui spiega come i russi cerchino di convincere i civili ucraini dei territori separatisti a fuggire appunto in Russia, articolo poi incautamente intitolato (da qualcun altro in Italia) usando il termine “deportazioni”. Questo, che potrebbe sembrare un dettaglio per noi, mette a rischio l’intero lavoro di Steinmann (e forse persino la sua vita) poiché all’istante autorità russe e filorusse gli comunicano, a suon di urla, che deve lasciare subito il Donbass e non farvi mai più ritorno. Ma lui non desiste e riesce a dimostrare le proprie ragioni, rimanendo sulla scena del conflitto e continuando a raccogliere materiale per un reportage giornalistico che ha un valore immenso. Questo libro, in fin dei conti, vale perciò mille volte di più di infinite ore di talk show inconcludenti sulla guerra in Ucraina, giacché ci mostra almeno una piccola parte di quel qualcosa che sempre va perso in guerra: la verità.