
Ovadia è figlio di un russo ebreo che vive a Costantinopoli e della sua serva musulmana. Quando è ancora piccolo suo padre, stanco della vita che conduce, decide che è giunto il momento di tornare in patria e così Ovadia si trova costretto a seguirlo, abbandonando la madre che li osserva composta sull’uscio di casa mentre i bagagli vengono caricati sulla carrozza. In Russia Ovadia cresce e si trova ben presto a vivere sotto lo stesso tetto con la nuova moglie del padre e il loro figlio, Daniel. Ma Ovadia non prova alcun rispetto per la donna, al punto da gestire la crescente frustrazione con scoppi di rabbia e affermazioni al vetriolo; lo stesso fastidio viene nutrito nei confronti di Daniel, ancora troppo piccolo per comprendere la necessità di uno spazio privato provata da Ovadia che presto deciderà di andare a vivere da solo in una casa costruita dai genitori sopra la stalla. Un giorno però di Ovadia si perdono le tracce. La sua strada lo ha condotto in Terra d’Israele, dove cerca lavoro nel frutteto di Mehmet Effendi facendosi chiamare Abdallah, quasi a voler cancellare le proprie origini ebraiche per riconnettersi pienamente con quelle arabe della madre. Qui, in questa nuova terra dove può sentirsi finalmente libero dall’influenza della famiglia russa e dove ha conosciuto anche una giovane donna, Luna, figlia del suo ospite, con cui trascorre molte ore la notte, Adballah affronta prima un’invasione di cavallette che minaccia di decimare il frutteto - già non in perfette condizioni - in cui lavora e poi la guerra che per fortuna rimane sufficientemente lontana da quel campo messo a frutto. A turbare la quiete trovata da Ovadia però sarà l’arrivo, prima a Giaffa e poi nello stesso frutteto, del fratellastro Daniel che diventa il nuovo proprietario del frutteto oltre che marito di Luna. Si apre così una nuova fase in cui il frutteto segue e incarna le alterne fortune dei due fratelli…
Benjamin Tammuz passa in rassegna gli eventi occorsi in Terra d’Israele tra il 1914 e il 1960 con un linguaggio tanto poetico quanto drammatico e cinico, mantenendosi sempre in bilico tra il racconto epico carico di imprese e una narrazione lineare dai tratti fiabeschi. Parte integrante del racconto è l’atmosfera sospesa: fin dall’inizio si ha la percezione di star leggendo un racconto di famiglia, dove tutto ruota attorno a quel frutteto in particolare, dell’esterno si conosce solo ciò che viene lasciato filtrare attraverso rimandi spesso intricati. Va sottolineato poi che mentre alcuni dettagli rendono chiaro il riferimento alla situazione storica della Terra d’Israele, altri necessitano quanto meno di una ricerca per essere colti e compresi davvero. Dapprima c’è la Grande Guerra, il crollo dell’impero ottomano con il conseguente arrivo delle truppe inglesi, poi il Mandato Britannico, poi i pogrom, la Seconda Guerra Mondiale e la vittoria dei tedeschi in Egitto. Infine ecco lo spettro della Guerra d’indipendenza in cui Ovadia, come tutti gli altri, dovrà scegliere da quale parte stare: chi essere, chi seguire, quale lingua parlare e quale religione professare. I protagonisti a questo punto mostrano la complessità della scelta di cui sono simboli: si contendono la stessa terra, la stessa donna e incarnano due differenti tipologie di vita che si intrecciano in uno strato culturale da sempre eterogeneo. La stessa Luna - che nel testo compare e scompare velocemente - non ha un ruolo particolarmente rilevante in quanto personaggio, ma come rimando allegorico che il poeta vuole suggerire al lettore; fin dalla prima sua comparsa la giovane ha un’aura di magia attorno, appare e scompare quando meno il protagonista se lo aspetta, non parla eppure riesce a comunicare con Ovadia e Daniel. Ovadia incarna l’uomo preda del risentimento per il dolore e l’ingiustizia occorsi dalla sua madre musulmana e questo lo porta a scegliere un nome arabo; Daniel invece è l’emblema dell’ebreo europeo che giunge in terra d’Israele carico di ideali. Tammuz desidera quindi ripercorrere la storia recente d’Israele, mostrando quanto sia necessario guardare al passato per poter intraprendere la via più favorevole per la costruzione di un nuovo futuro ricco di cambiamenti.