
L’arrivo in America dell’automa degli scacchi, ideato nel 1769 dall’ungherese Wolfgang von Kempelen per Maria Teresa d’Austria e perfezionato dal tedesco Johann Nepomuk Maelzel, inventore ed ingegnere, desta non poca curiosità fra gli attoniti ed entusiasti spettatori. Si tratta di una macchina capace di sostituirsi ad un uomo e capace addirittura di sfidarlo in esercizi mentali, come quello complesso della strategia scacchistica. Lo stesso Maelzel, che si rivela anche come esperto uomo di spettacolo, si perita durante il viaggio in America a presentare la sua creatura esibendola in brevi partite con un pubblico stupito dalla capacità del Turco - questo il nome che prende l’automa per come è abbigliato - di decidere come spostare i pezzi sulla scacchiera e mettere in difficoltà il suo avversario, umano. Maelzel ci tiene molto a far vedere ai suoi spettatori che non c’è nessun trucco: apre tutti i cassetti, sistema una luce per far vedere gli ingranaggi, lascia che si avvicinino a meglio capacitarsi della stravagante creazione, carica l’automa e... dà avvio alla partita con un volontario preso egli stesso dal pubblico. Con movimenti sicuri, qualche scossone della testa e ogni tanto un tentennamento, in mezz’ora la macchina elabora la sua strategia e affronta l’umano, spesso vincendo, a volte anche perdendo. Ma non è mai tutto come sembra, e se il trucco non si vede, c’è però l’inganno!
Edgard Allan Poe è noto per la sua curiosità per tutto ciò che è avvolto da mistero: l’incontro con l’automa di Kempelen lo spinge allora a fare delle ricerche sulla possibilità di creare una macchina completamente autosufficiente e in grado di ragionare come un uomo, meglio di un uomo. In questa eterna sfida, Poe mette in piedi un interessante saggio di giornalismo ottocentesco, dando sfoggio della grande duttilità della sua capacità razionale: studiando il Turco da ogni angolazione, costruisce una confutazione puntuale che lascia poco spazio alla fantasia ed al mistero, ponendo un argine alle tendenze dell’epoca, figlie del positivismo di fine settecento, che vogliono la macchina più potente del cervello umano. Non è uno saggio affascinante per brillantezza, anzi qua e là si vede una certa sprezzante arroganza a corredo di ogni sua argomentazione: ma è sicuramente un saggio di grande prospettiva per lo scrittore, dato che nell’argomentazione per punti dell’inganno della macchina si vede l’acume poliziesco che poi caratterizzerà tutte le sue opere più famose. Paradossalmente, possiamo considerarlo un saggio di preparazione alla sua carriera di scrittore, che ne mise in luce lo spirito inquisitore e la capacità argomentativa. All’edizione della Mursia del 1971 ne è seguita un’altra per la casa editrice SE del 2009 e più recentemente una di BUR (30 marzo 2021) con una nuova traduzione ed una prestigiosa introduzione di Luca Crovi, noto esperto della storia del genere giallo, a testimonianza dell’importanza di questa testimonianza narrativa.