
Zack fa l’avvocato d’ufficio a New York; sin da ragazzino è abituato ad avere a che fare con il disagio mentale: suo zio Edward è stato internato a ventisei anni nell’istituto per malati mentali di Topeka, schiacciato dal micidiale mix di tossicodipendenza e schizofrenia, e lì ha finito i suoi giorni. Sua madre, che Zack chiama “Uccellino” da quando era adolescente – “per la sua tendenza a ruotare la testa in semicerchio così, a scatti, quando aveva le penne arruffate per qualcosa” – insegna alle superiori a Wichita, in Kansas, e dopo aver divorziato da due mariti (il primo, il padre di Zack, con seri problemi di dipendenza da alcool e cocaina) e cresciuto tre figli ha iniziato ad accogliere in casa ragazzi etichettati come “difficili”: delinquenti, teppisti, “rifiuti della società”. È in questo contesto che Zack – che la mamma chiama “Gorilla” per la peluria, la stazza ed il carattere scontroso – ha tratto la sua vocazione alla difesa dei diritti delle minoranze e delle persone affette da disturbi psichici. Lavorare per il Legal Aid, il Soccorso Legale nella Grande Mela, significa ritrovarsi spesso tra le mani casi come quello di Earl, un omone gigantesco, con una cicatrice paurosa a segnargli il volto, che urla e si agita, e ha minacciato il padrone di casa di dar fuoco all’intero edificio: Earl è schizofrenico, e da anni è in cura con farmaci antipsicotici, e ovviamente non è in grado di comprendere cosa possa comportare alzare il tono della voce di fronte ad un giudice. Zack coltiva anche una passione per la stand-up comedy: passa le serate sui palchi dei club dedicati nelle vesti di Myles McD, una versione di se stesso con le rotelle fuori posto. Ed è in quel giro di locali che ha incontrato il Produttore: uno che veste capi per migliaia di dollari, abita nell’Upper East Side e ha i contatti giusti per farlo sfondare. C’è un problema: man mano che passano le settimane, la distinzione tra Zack e Myles McD inizia a farsi più sfumata, e il personaggio inizia a prendere il posto dell’avvocato anche nella vita quotidiana e al lavoro. Fino al giorno in cui, convinto di essere immerso in un reality à la Truman Show, Zack subisce il suo primo crollo psicotico: l’ambulanza corre verso il Reparto di Psichiatria del Bellevue Hospital…
“Sono diventato avvocato d’ufficio per difendere la feccia, gli scarti, i tossici, quelli come mio zio Eddie. [...] I miei avversari: giudici che si scandalizzano per gli improperi sulla bocca di schizofrenici; procuratori distrettuali secondo i quali la soluzione migliore per uno come Earl – un uomo che non sa neanche allacciarsi le scarpe, figuriamoci appiccare il fuoco ad un palazzo di mattoni – è chiuderlo in gabbia; poliziotti che fermano gli Earl di questo mondo e li portano in centrale invece che all’ospedale”. In una scena del film che potrebbe coronare la carriera di Joaquin Phoenix con un premio Oscar, l’attore, nei panni del Joker, l’iconico arcinemico di Batman, scrive nei suoi appunti di aspirante comico: “The worst part about having a mental illness is people expect you to behave as if you don’t”: “la cosa peggiore dell’avere un disturbo mentale è che la gente si aspetta che ti comporti come se tu non lo avessi”. La frase torna in mente a più riprese scorrendo le pagine di questo memoir in cui Zack McDermott si mette a nudo, mostrando senza reticenze cosa può accadere quando quella linea di confine tra l’essere un po’ su di giri, o avere una qualche forma di esaurimento da eccesso di stress lavorativo, e la follia vera e propria, si dimostra più labile di quanto si possa immaginare, sfuma, sino a perdersi nel delirio della psicosi; e cosa possa accadere ad una madre che vede il proprio figlio precipitare in quell’abisso, e a chiunque stia vicino, o almeno provi a restare accanto, a chi vive una simile esperienza. Il gorilla e l’uccellino (in originale Gorilla and the Bird: A Memoir of Madness and a Mother’s Love) è anche un riuscito amalgama di dolore e humor su come le dinamiche tossiche che riverberano nelle famiglie e che modellano comportamenti e personalità, sottendano il perpetrarsi di modelli disfunzionali nei rapporti di chi ha avuto la ventura di crescere in quegli ambienti; sul potere della frenesia, dei ritmi della metropoli, di esacerbare il disagio, portando al limite le fragilità individuali, fornendo infinite occasioni di innesco alla manifestazione – spaventosa, quando eclatante – nella società del disturbo mentale. McDermott svolge attualmente attività di conferenziere e collaboratore presso università, organizzazioni no-profit, scuole superiori, trattando temi inerenti la de-stigmatizzazione del disagio mentale e la riforma del sistema penale statunitense, dopo aver lavorato per circa sei anni come difensore d’ufficio per la Legal Aid Society di New York. Da questo libro verrà tratta una serie televisiva prodotta da Jean Marc Vallèe, già coinvolto in progetti di successo come il serial targato HBO Big Little Lies.