
Ha perso diversi chili in una sola settimana e vuole andare a pranzo dal cinese dietro casa. Non vede l’ora di uscire dall’ospedale suo padre, ma Carla deve dirgli che no, ancora non sarà dimesso, perché il suo livello di potassio nel sangue è ancora troppo basso. Allora lui, che già aveva messo in valigia il sacchetto della biancheria sporca e le ciabatte, si sfila la giacca che aveva indossato e la appende di nuovo nell’armadio, poi si guarda le unghie. Carla e suo fratello Mario sono tornati a Milano appena hanno saputo, mentre la loro sorella Laura li raggiungerà a breve. Carla fa notare a Simone, suo padre, che è davvero molto magro e lui la rincuora, rispondendole che ora, con un fisico così asciutto, sai quanto donne gli faranno la corte! Ridono i due, mentre si guardano negli occhi, occhi che invece non ridono affatto. Tra padre e figlia è comodamente seduta la morte ed entrambi la sentono. Sembra lasciar loro un po’ di tempo per scambiarsi le ultime parole o, addirittura, per conoscersi meglio o condividere qualche sprazzo di intimità. Sembra invitarli ad abbandonare ogni imbarazzo e ad abbracciarsi, a raccontarsi. Insieme ai fratelli Carla accompagnerà il padre nell’ultimo viaggio e faranno ogni cosa per bene, esattamente come deve essere fatta. Così Simone se ne potrà andare in pace, pieno di sorrisi, mentre i figli faranno festa e canteranno. Anche se in realtà quello bravo a cantare è proprio Simone, che ha imparato molto presto anche a suonare. Aveva circa otto anni quando sua madre si è rivolta a un maestro di musica affinché insegnasse a suonare la chitarra all’altra figlia dodicenne, Sara. Anche il piccolo Simone, però, voleva prendere lezioni e i genitori, dopo un po’ di discussioni, hanno trovato un compromesso: il bambino avrebbe potuto assistere alle lezioni della sorella, a patto di starsene muto come un pesce…
Percepire la finitezza del tempo. Ridefinire le priorità. Riconoscere in se stessi i propri figli, anziché ricercare in essi tracce di sé. Confrontarsi con il dolore della malattia e della morte. Questo è il nuovo romanzo di Anna Giurickovic Dato, la storia di chi resta e il doloroso congedo da una figura così importante come è quella del padre, che assume anche il significato simbolico del declino del ruolo paterno all’interno della realtà attuale. Una storia durissima, lo strazio di tre figli che, ormai adulti e lontani dal nido, tornano a far quadrato intorno al padre, malato e senza più alcuna speranza di guarigione, e si occupano di lui – degli effetti devastanti della chemio sul suo corpo martoriato, della sua mente sempre più annebbiata, delle sue verità taciute per anni, dei suoi timori, della sua granitica fiducia nelle terapie mediche, dei suoi segreti, o presunti tali, in grado di scardinare ogni certezza – mentre il tempo scandisce inesorabilmente l’attesa della fine. Carla - voce narrante della vicenda - e con lei i fratelli Mario e Laura, abituati a nascondere il dolore o a viverlo in solitudine, imparano ad accompagnare il genitore lungo le varie stazioni della sua straziante via crucis e comprendono, insieme a lui, che la morte - evento ineluttabile certo, che tuttavia non ha alcuna pretesa di compiutezza - può aiutarli ad incastrare le varie tessere del mosaico delle loro vite irrisolte e insegnar loro ad aspettare e ad accettare. Un romanzo doloroso, complesso, implacabile, coraggioso e bellissimo, caratterizzato da una prosa asciutta e pungente che colpisce nella sua autenticità e racconta di lacrime trattenute e sorrisi forzati, di sgomento e accettazione, di un dolore che spacca il cuore e della crudezza della realtà, di nuovi equilibri e di nuovi inizi. Una storia che resta addosso, una lettura che richiede un certo sforzo e che invita il lettore, citando la stessa autrice, a ricercare tra le righe “il grande che è in tutti noi, non quello che abbiamo inventato, ma quello che dobbiamo ancora scoprire”.
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