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Il grande racconto di Roma antica e dei suoi sette re

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Perché i Romani adottarono i miti degli Etruschi e dei Greci, “latinizzandoli”? Che significa che noi contemporanei abbiamo ereditato così pochi miti latini aborigeni, come quello del dio bifronte Giano (più antico di Saturno!), quello di Conso, quello di Terminus, quello di Limentinus, quelli delle ninfe Egeria e Giuturna? In che senso la vera mitologia romana era fondamentalmente legata alle origini dell’Urbe, e cosa significa, davvero? Come si fondava una città e come si interpretavano le volontà degli dei? Cos’era il Latium Vetus e quali erano i rapporti tra le tribù latine e gli etruschi? Chi era Evandro il greco, figlio del dio Ermes e di Carmenta, e perché si schierò naturalmente al fianco di Enea, quando l’eroe troiano si presentò nel Lazio? Qual è il (robusto) fondo di verità sui rapporti tra i greci e i fondatori di Roma? Dove veniva venerato il Pater Indiges, il padre capostipite Enea? Che cosa avvenne tra la fondazione di Alba Longa, per mano di Ascanio, figlio di Enea, e la fondazione di Roma? Cosa rappresentava il tempio di Iuppiter Latiaris, sul monte Albano? E cosa il santuario di Diana, sul lago di Nemi? Perché Alba Longa e Roma, tutto a un tratto, non potevano più coesistere? E cosa ha rappresentato il duello tra Orazi e Curiazi? Cos’era il pomerium, e perché era sacro? E cos’era il mundus, e cosa rappresentava davvero? E dove si trovava, il mundus, a Roma, e come era sigillato, e quando veniva aperto? Chi erano i Mani, e chi erano i Lari? E i Penati? Chi erano le sacerdotesse vestali, e quante erano, ab origine? E quando divennero quattro, e quando sei, e mai più di sei? Quanto durava il loro servizio? Chi era la vestalis maxima? E cos’era un homo sacer, invece? Cosa significava “sacer” per un antico romano? Perché gli antichi Romani erano così profondamente religiosi? E perché la capanna di Romolo, al Palatino, era ancora meta di pellegrinaggi mille anni dopo, al tempo di Costantino, così come il tugurium Faustoli e il lupercal? Che significava che i Romani fossero “Quiriti” e quanto antico era, in realtà, quel culto?

In principio, spiega il professor Giulio Guidorizzi (già docente di Letteratura greca e Antropologia del mondo antico nelle Università di Milano e Torino), troviamo i sette re: sette è un numero tra storia e leggenda, perché è il numero magico per eccellenza: sette sono le note, sette i giorni della settimana, sette i colli su cui fu costruita Roma, e prima ancora sette erano i villaggi originari dell’Urbe, al tempo del “Septimontium”. Duecentoquarantaquattro anni di monarchia romana e soltanto sette re (otto se consideriamo Tito Tazio, re dei Sabini, per un tratto coreggente con Romolo): Romolo fondatore della città, della “Roma quadrata”; Numa Pompilio magnifica luce della religione romana, Tullo Ostilio faro dell’organizzazione militare, “iniziatore dell’imperialismo romano”; Anco Marzio padre di Ostia, prima colonia romana, e del primo ponte sul Tevere, ponte Sublicio. E infine i tre re etruschi, architetti di Roma. Tre le tribù originarie: Ramnes, Tities, Luceres. I primi, forse, seguaci di Romolo, latini; i secondi, leali a Tito Tazio, sabini; i terzi, figli del “bosco sacro”, del lucus, oppure, più realisticamente, etruschi, leali al lucumone. Ogni tribù era poi divisa in dieci curie, e ogni curia doveva garantire cento fanti e dieci cavalieri all’esercito: quella era la legione, “gli uomini scelti”. Cosa aggiunge questo saggio alla storia romana? Niente: è un buon lavoro divulgativo, pubblicato dal Mulino a fine 2021, nell’amabile collana “Grandi Illustrati”, cartonato e corredato da un imponente apparato di immagini. Da un punto di vista antropologico, parecchie delle questioni qui trattate erano state ben diversamente approfondite, e più volte, dal bravo Maurizio Bettini, negli ultimi anni, ad esempio nel basilare Dèi e uomini della città (Carocci, 2015); soltanto un esempio eclatante. Saggio sarà considerare questo libro una buona sintesi, magari più adatta agli studenti del Liceo Classico o al limite a qualche universitario estremamente sensibile alla classicità; una sorta di “avviamento alla romanità” o giù di lì. Lettura quindi al limite prodromica ad altri approfondimenti (questione per questione: ad es. Carandini, Bettini, Umberto Roberto per la decadenza dell’impero, etc.) oppure al limite “complementare”. Punto. Il grande racconto di Roma antica e dei suoi sette re è strutturato in due parti: parte prima, “Il mito delle origini” (nove capitoli, dedicati a Enea, Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo, l’alba della repubblica); parte seconda, più breve e spesso ripetitiva dei contenuti già apparsi in precedenza, “Riti, usi, credenze di Roma arcaica” (nove capitoli: gens, matrimonio, Lari e Penati, dèi di Roma, incantamenti, feste, etc). In appendice, letture fondamentali e indice dei nomi. A collaborare col professor Guidorizzi, illustre grecista e famoso accademico, è stata Arianna Ghilardotti.