
Nipote di un agiato proprietario terriero che negli anni Settanta del XIX secolo è stato fornitore di fieno dell’esercito prussiano, Otto non dimentica mai quel giorno in cui, ancora adolescente, ha assistito alla macellazione di una mucca. Non conserva solo il ricordo dell’episodio violento, ma anche le sensazioni di gioia trionfale e di torbida soddisfazione provate nel momento nel quale l’animale era stramazzato a terra a seguito del colpo di scure infertogli. Anche adesso che è adulto spesso rievoca il fatto con immutato senso di entusiastica compiacenza. In famiglia nessuno aveva mai esercitato il mestiere di macellaio. Per tale ragione il padre, che di professione fa il sellaio, non riesce a spiegarsi per quale motivo il figlio abbia deciso di intraprenderlo. Ma Otto sente di esserne predisposto e riesce a convincere il genitore ad assecondare il suo desiderio. Poiché nella cittadina del margraviato del Brandeburgo dove essi risiedono i cinque macelli presenti non sono alla ricerca di personale, una mattina il padre decide di accompagnarlo a Berlino dove il cognato gli ha trovato un posto di lavoro in un mattatoio. Tra la massa spaventosa di abitazioni e il brusio crepitante degli esseri umani presenti in città l’uomo si sente spaesato. Lo stridore meccanico dei tram, l’ambiente asfittico dei quartieri popolari, i muggiti terrorizzati delle bestie e il fragore delle ossa spezzate che si udivano nell’atmosfera putrescente del mattatoio provocano in lui un ribollio di impressioni ben diverso dallo stato d’animo che invece anima il giovane Otto…
L’uscita in libreria de Il macellaio di Sándor Márai è l’ennesima dimostrazione che il baule magico in cui sono custodite le opere letterarie del grande romanziere ungherese appare inesauribile. In questa circostanza la casa editrice Adelphi, che ha versato in italiano fin qui tutti i suoi precedenti, ci presenta ora il testo d’esordio. Un romanzo breve tanto agile di mole quanto carico di valore, che ruota attorno al tema dell’abiezione umana. Quella che rende sottile il confine tra la normalità e la brutalità della violenza. Anche in questo racconto Sándor Márai non scrive per diletto. Possiamo dire dunque che non lo ha mai fatto. La sua prosa cerca come sempre nella letteratura domande e risposte sulla vita degli individui in relazione al contesto storico. Sándor Márai è semplicemente Sándor Márai: un gentiluomo spaesato, intento a riflettere ad un angolo tragico ed increscioso della storia. Il lettore può amare o detestare la sua prosa, la può trovare affascinante o estenuante, la può ritenere funzionale o eccessiva o anche provare sensazioni ambivalenti. Ma non è possibile restare indifferenti, una volta inoltratisi fra le pagine di questo autore che in ogni suo romanzo non solo racconta storie, ma ricrea con superba maestria le atmosfere decadenti del tramonto di un’epoca e l’inquietante oscurità di quella che avanza. La sua capacità di scendere a scandagliare i fondali dell’animo umano è ben presente anche in questo esordio letterario nel quale rivela doti di sorprendente sovrapposizione tra tessitura esistenziale e impianto tematico. La dote di ipnotizzare il lettore e di condurlo in una sorta di ipogeo umano entro il quale la linea dell’abiezione della violenza tra naturale e razionale, tra uccisioni di animali e uomini, si fa sottile e forze oscure modulano inconsciamente le intermittenze di quell’arcano mutevole che è in ogni istante il nostro stato d’animo. Con il fascino delicato e sorprendente della sua penna egli ci consegna la stinta sinopia di un passaggio epocale che, se non continua più a vivere, seguita almeno a morire splendidamente in questo come in ogni altro suo romanzo.