
Un nuovo volto. Punto congiunto n. 1. 15 dicembre 2017 - h. 11.11. Le luci fredde del neon sul soffitto sfrecciano ad alta velocità. Trasportato da una barella, perdo il senso di marcia. A un tratto mi fermano davanti a una porta: vengo parcheggiato fuori dalla sala operatoria. Un infermiere mi mette un ago di accesso nell’avambraccio, l’anestesista si avvicina e mi fa un sorriso. Il Prof. arriva in leggero ritardo, studia il mio volto, lo manipola, tira la pelle elastica, con un pennarello rosso disegna un tracciato sulla mia pelle. Una foto e poi si riparte verso la sala operatoria dove vengo trasformato in una sorta di baco da seta avvolto da teli verdi: mi circoscrivono il volto che viene disinfettato e mi ricordano le fasi preparatorie delle mummie dell’antico Egitto. Ricompare il Prof., dice all’anestesista di lasciarmi cosciente, perché dovrò collaborare, e a me di sorridere, così potrà procedere con maggior precisione, senza ledere i muscoli facciali. Sono al settimo intervento, alla settima recidiva non risolta, ma sono in buone mani. La percezione di quello che sta succedendo è nitida: ho la consapevolezza di un branzino che sta per essere sfilettato vivo da uno chef giapponese. Mentre il bisturi sta asportando mezza guancia dal mio viso, il Prof. mi dice che posso smettere di sorridere e fa un cenno all’anestesista. In qualche secondo sento salire la sostanza liberatoria, alla quale mi aggrappo per farmi portare via da quella situazione, da quel trapianto di volto, lontano nel tempo, prima che tutto avesse inizio...
Il commovente romanzo di Guido Fabrizi — “fotografo di storia dell’arte, architettura, esseri umani e oggetti” — è un testo fatto di memoria personale, cronaca, autobiografia, ricordi, meditazioni, incontri e conversazioni, che offre uno sguardo nuovo e sincero sulla famiglia, sulle istituzioni, sulla società e sul mondo. Formato da trenta capitoli, o “punti congiunti”, narra la vicenda esistenziale di Javier — il nome deciso dalla madre Francisca, “non curante del fatto che avrei trascorso gran parte della vita a spiegare al mondo che si scrive Javier, ma si pronuncia Havier, con un’acca aspirata a cartavetro sulla faringe” —, a partire dai nonni, spagnoli quelli materni, italiani quelli paterni; i genitori che si sono conosciuti a Parigi, i ripetuti trasferimenti e traslochi, dovuti all’estrema gelosia della madre, il suo carattere intransigente e le “punizioni educative” inflitte ai figli, vere e proprie torture. La formazione dell'identità del protagonista è stata fortemente condizionata dal rapporto problematico, disfunzionale, con la madre e dal ruolo passivo del padre, che rimane sempre sullo sfondo, così come assente sarà Fosco, il fratello maggiore. I tanti tentativi di fuga di Javier, fin dalla più giovane età, rimandano a esperienze di rottura, alla difficoltà di dare un senso a progetti, desideri e relazioni, e a esperienze di solitudine e di incertezza. Addentrandosi in regioni oscure, senza il timore di esporsi e di esplorare le relazioni fra persone e le conseguenze delle loro scelte, l’autore arriva alla vera essenza dell’essere umano: la relazione con sé stesso e con gli altri. Una lettura in sintonia con il presente, le tante problematiche che affliggono la nostra società, dove, di fronte a qualcuno in difficoltà, vengono chiuse tante porte, ma, a volte, altrettante se ne aprono, permettendo anche a chi è andato alla deriva, di sopravvivere ai propri naufragi, perché c’è sempre qualcuno pronto a tenderci una mano per salvarci.