
Ad Amala non piace vivere in campagna e non le piace non poterlo spiegare ai suoi amici che le danno della viziata: i suoi genitori sono famosi e tutti credono siano anche ricchi. Casa sua è isolata e ancora un chilometro oltre Città del Fiume, un borghetto di circa trecento anime. Ha una forma ridicola e tutti la chiamano il “Ferro da stiro”, e quando piove diventa fredda e umida. Amala è seduta sul bus che si allontana da Cremona in direzione casa e fuori dal finestrino guarda sfilare le abitazioni e i campi di mais molto cresciuto per il caldo esagerato durato per tutto settembre, tanto che anche sul pullman si soffoca, anche se si è svuotato di studenti lungo le fermate precedenti. Scende all’unica fermata di Città e con la musica dei Måneskin nelle orecchie si avvia a piedi verso casa, scegliendo la strada più breve ma sterrata. Lungo il sentiero incrocia un furgone bianco, appoggiato al cui portellone un uomo grande e grosso in occhiali scuri sta fumando scazzato una sigaretta. Accelera per lasciarselo alle spalle, e quando si volta per guardare indietro, il furgone è sparito. Amala ne è sollevata, alza il volume negli AirPods e in poche centinaia di metri raggiunge il cancello elettrico della proprietà della sua famiglia. Si crede al sicuro, invece è proprio lì che inizia il suo purgatorio...
Due storie parallele separate da trent’anni che si toccano per sovrapporsi soltanto alla fine. Il male che gli uomini fanno è un romanzo graffiante, un viaggio nella parte più oscura dell’animo umano, buia come i luoghi in cui i cattivi di Sandrone Dazieri amano rinchiudere le proprie vittime. Inizio impattante, trama complessa e ritmo serrato, colpi di scena e dettagli sospesi che affiorano a poco a poco, destando curiosità nel lettore che resta catturato, particolari collaterali, descrizioni e dettagli che danno profondità e spessore. Un viaggio nell’abisso dell’animo umano, dove Dazieri si avventura spesso, alla ricerca del male guardato da ogni angolazione e non solo quello più abietto e malato dei mostri, ma anche quello più comune generato da opportunismo e avidità. Il male si autoalimenta, è dappertutto, diffonde e dilaga con effetto domino. Persino la sovrintendente capo Itala Caruso è un personaggio antitetico rispetto ai soliti poliziotti, a volte imperfetti, sì, ma sempre dalla parte del bene. Omicidi, incidenti, false piste, violenza, politica e corruzione popolano l’opera dalla struttura narrativa articolata. L’indagine è ben condotta, anche se portata avanti da civili che riescono a ottenere informazioni anche riservate solo grazie a una fitta rete di conoscenze. Un po’ “troppo”, in alcuni punti: troppo complottista, troppo esagerato, Amala troppo in gamba, ma quando si affronta questo autore ce lo si aspetta, perché Dazieri piace così.