Salta al contenuto principale

Il manoscritto

ilmanoscritto

Prologo. La vecchia. Sono le tre del mattino. L’odore della primavera appena cominciata lambisce le strade di Oslo. L’aria è così umida da sembrare più fredda di quanto non sia in realtà. Alla donna sulla sedia a rotelle pare di sentire fin lì, a Frogner, il brusio del mare, ma forse si sbaglia: le sue orecchie non si sono ancora abituate a stare all’aperto. Sono passati più di quattro anni dall’ultima volta che è uscita di casa, fatta eccezione per i controlli annuali dal dentista e i due giorni di degenza in ospedale: è insolito per lei percorrere le superfici dei marciapiedi. Si ferma di tanto in tanto agli angoli delle strade o davanti a qualche vetrina avvolta nel buio. Quattro anni sono un’eternità. Quattro anni sono passati in un baleno. Il momento che aspettava è arrivato venerdì 13 marzo 2020, quando in Norvegia è scattato il lockdown: con la città vuota e sicura, lei può finalmente avventurarsi all’esterno. Ha quasi sessant’anni e, secondo molti, conduce una vita limitata, ma non si è mai sentita tanto soddisfatta: finalmente Oslo è tornata a essere la città di Hanne Wilhelmsen. Il giovane. La foto che l’agente di polizia Henrik Holme sta osservando con raccapriccio è quella del cadavere di una donna tra i quaranta e cinquanta anni, dal corpo muscoloso, le mani callose e le unghie malconce; i capelli scuri e lunghi con qualche ciocca grigia la fanno sembrare una strega. Henrik Holme non ha amici e il tempo che trascorre al lavoro è il migliore. Ha una madre invalida che va a trovare ogni volta che può, e circa tremila colleghi che fanno parte del Distretto della polizia di Oslo, alcuni dei quali lo conoscono, altri lo deridono e sparlano alle sue spalle, ma la maggior parte lo tratta con il rispetto che si è guadagnato nei nove anni di servizio. Lavora da tre anni come investigatore alla Omicidi, eppure rimane sconvolto davanti a ogni morte: da quando ha visto il cadavere di un bambino di otto anni, a pochi giorni dall’inizio della sua carriera, rimugina sull’esistenza delle vittime e per calmarsi ha bisogno di vagabondare per Oslo a ogni ora del giorno e della notte. Riapre per l’ennesima volta la foto della donna orrendamente straziata e ritrovata nel bagagliaio di un’auto. Forse è stata davvero una strega, ma perché al posto della faccia ci sia un cratere sanguinolento in via di putrefazione, è un mistero…

Se poi, dopo “la vecchia” e “il giovane”, entrano in scena “la nuova”, Ebba Braut, appena assunta dalla Storkhøj, la più grande casa editrice norvegese, e “il più vecchio”, ovvero il becchino di Hovet di cui scopriremo il nome solo nelle pagine finali, allora “la storia” può cominciare. Ben presto scopriremo i legami fra almeno tre dei quattro personaggi presentati nel prologo: Hanne Wilhelmsen dal carattere diretto e scontroso — ex detective, costretta da tempo a vivere sulla sedia rotelle e in un isolamento quasi totale all’interno della sua tecnologica abitazione con la moglie Nefis e la figlia adolescente, Ida —, ha scritto un romanzo poliziesco che la Storkhøj intende pubblicare; Ebba Braut — una giovane teologa, ordinata pastora, con precedenti penali, redattrice da una sola settimana, sa che avrà a che fare con scrittori egocentrici, ingrati, bizzosi e irascibili, ma ora il problema è il manoscritto di una famosa autrice sparito nel nulla — dovrebbe revisionare il testo della Wilhelmsen, piuttosto restia a dedicare altro tempo alla sua storia; Henrik Holme, infine, l’investigatore della omicidi dai tratti fisici inusuali, che quando non è in servizio è goffo, timido e impedito, mentre in uniforme diventa acuto, deciso e capace — tranne quando nelle vicinanze ci sono delle donne che non conosce bene e che, in teoria, possono diventare un oggetto sessuale — chiede aiuto a quella che non sa bene se considerare un’amica: Hanne Wilhelmsen ha nei suoi confronti un comportamento altalenante e contraddittorio. Quando viene a sapere del manoscritto perduto dalla casa editrice, Hanne perde interesse per il caso della donna sfigurata, ignorando le disperate richieste di aiuto di Henrik Holme. Il becchino, invece, è impegnato a mettere a tacere i propri sensi di colpa: Astrid Hrossaland è morta a sessantatré anni, senza amici né parenti. Considerata da tutti nel villaggio una ritardata, incapace di esprimersi a parole, ma abile nei lavori pratici, merita di essere almeno sepolta come si deve. Sullo sfondo, la pandemia di covid-19, che rende Oslo immobile e silenziosa, e l'industria dell’editoria norvegese, temi che Anne Holt approfondisce con sensibilità e in modo realistico. Ci riporta a quel marzo del 2020, allo spaesamento davanti alle prime forme di contenimento del contagio imposte dalle autorità: l’isolamento, il distanziamento, le mascherine e i disinfettanti rendono ancora più profonda la solitudine vissuta da alcuni dei personaggi. L’industria del libro e le relazioni al suo interno — gli autori, gli editori, i redattori, i giornalisti, persino i lettori — vengono invece descritte con ironia e evidente familiarità: “In quanto redattrice, sei madre, insegnante di norvegese e psicologa. Sei un blocco di taglio per spaccare la legna. Un bidone della spazzatura umano. Ti telefonano nel cuore della notte. Ricevi sms pieni di acidità e di bile quando sei in ferie. Ti arrivano minacce di cambiare editore non appena qualcosa va storto. Per non parlare delle recensioni negative”. Alla fine, i fili che rappresentano le diverse parti della trama, fatta di oscuri segreti di famiglia, menzogne, tradimenti, inganni e innumerevoli riferimenti e rimandi, risultano ben intrecciati e, anche se non tutte le domande trovano una risposta e forse potrà sorgere qualche perplessità che per ovvi motivi è impossibile anticipare, Il manoscritto ci ricorda che, in modi diversi, la letteratura può essere veramente “pericolosa”.