
Verso la metà degli anni Sessanta Raymond Carver si accorge di avere notevole difficoltà a concentrare l'attenzione su opere di narrativa di una certa lunghezza. Stessa insofferenza che scopre anche, se non di più, riguardo le sue attitudini creative. “Presto dentro, presto fuori. Niente indugi. Avanti”: questo sembra diventare allora il suo grido di battaglia. E questa sembra essere dunque la genesi di quella peculiarità che renderà lo scrittore dell'Oregon negli anni a venire il più importante e acclamato scrittore di racconti della letteratura americana – e mondiale – del dopoguerra. Ma short-story non significa certo minor cura stilistica e sopratutto minor talento. Ciò che riesce a rendere una storia davvero speciale, dice infatti Carver, è sopratutto la sincerità, la capacità dello scrittore di rinunciare a trucchetti e trovatine d'effetto. Non c'è bisogno di sbrodolare la pagina con ogni sorta di artifizio scenico o peggio ancora desertificarla in nome magari di uno pseudo sperimentalismo di facciata. Ciò che rende un racconto davvero unico è la capacità che ha lo scrittore di riempire di potere immenso “ […] addirittura sbalorditivo” anche il più banale e insulso degli oggetti. Ma certo, per confezionare un'opera artistica non basta un solo ingrediente, seppur fondamentale. Un altro tassello irrinunciabile, sempre secondo Carver, è dato dagli influssi. Con tale termine egli non intende riferirsi alle influenze di scrittori passati che possono certamente averlo contaminato, ma tutta quella serie infinita di episodi, stati d'animo, modi di dire, visioni, volti, accenti, oggetti, che nel corso dell'esistenza la sua memoria è andata via via accumulando. Sono quei cassettini del passato a fornirgli spesso l'ispirazione per iniziare o terminare una storia. Tra gli influssi maggiori che lo scrittore ha subito, ci sono certamente quelli donatigli – a volte anche attraverso privazioni - dai suoi due figli (“Sono stati loro i primi a sollecitare e a dare forma alla mia vita e alla mia scrittura”). Erano i tempi in cui Raymond svolgeva ogni tipo di occupazione occasionale e il bulimico desiderio di comporre era destinato a frustrarsi contro la dura realtà famigliare e lavorativa. C'era - se andava bene - da azzannare quella misera ora al giorno per scrivere e quei sessanta minuti dovevano necessariamente sapersi trasformare in oro. E a giudicare dai risultati...
Raymond Carver, una delle voci indiscutibilmente più alte nel panorama letterario contemporaneo, in questa raccolta di scritti, riflessioni, confessioni, lezioni, esercizi di scrittura creativa curata dal suo biografo americano si mette a nudo e traccia, tra le righe, le sue personali linee-guida di architettura narrativa. D'altronde è stato proprio lui a dare l'input negli anni '70 a quella che oggi è la diffusissima e spesso troppo modaiola pratica delle lezioni di scrittura creativa. Le sue Creative Writing oltre a essere inizialmente necessità per mero sostentamento, sono diventate con gli anni un utilissimo strumento di riflessione sull'arte dello scrivere. Suggerimenti, considerazioni, consigli, esempi pratici, questi gli elementi che costituiscono questo prezioso volume. Saggio che non può certamente mancare nelle librerie sia dei fan dello scrittore che in quelle di chiunque voglia approcciarsi alla scrittura in modo creativo. C'è persino l'intera trascrizione di una sua lezione durante un laboratorio tenuto nel 1983 presso l'Iowa Writers' Workshop. Un pezzo unico e di rara bellezza, che davvero per gli aspiranti scrittori è una gemma da dover studiare, leggere, rileggere e custodire gelosamente tra le cose più care. Ma è anche una splendida e unica occasione per chiunque voglia rivivere ‘live’ gli insegnamenti e le atmosfere d'aula di uno dei più grandi maestri della narrativa mondiale.