
La violenza con cui Costanza Pes batte contro il pavimento le toglie il fiato. Non sente dolore ma smarrimento, l’odore che le arriva alle narici è quello acre di pesce e salsedine. L’urto violento della sua nuca contro una trave di ghisa non le lascia scampo e la trasporta in un limbo in cui non è né viva né morta. Qualche ora prima, davanti al teatro Carboni, lei e le sue compagne sono state violentemente aggredite da un gruppo di uomini che non si è fatto scrupolo di usare ogni insulto, minacciandole con bastoni da passeggio usati come armi. Hanno strappato i volantini che le donne volevano distribuire, arrivando anche alle mani. Costanza, contravvenendo a quello che la maestra Floriana Lepori - leader riconosciuta della frangia di suffragette - aveva raccomandato, ovvero “Non reagite”, alla minaccia fisica di Camillo Cappai lo ha spinto. È a quel punto che la polizia è intervenuta – finalmente – a disperdere i contendenti. Loro, le donne del Comitato femminista Eleonora D’Arborea e quelli che tutti conoscono come gli ascari, giovanotti che non ammettono le richieste delle donne, in primis il diritto di voto. Si sono mestamente allontanate e lì, nel magazzino della tonnara di cala Regina, dove pensava di essere al sicuro, è arrivato il colpo fatale. Gli ultimi pensieri di Costanza prima di piombare nel buio mescolano incredulità e una domanda. La domanda che ogni vittima si pone rendendo tutto ancora più crudele: “È stata colpa mia?”…
Einaudi ritiene questo romanzo un giallo e in linea di massima è in questa veste che è atteso dai lettori il terzo capitolo di questa originalissima saga letteraria. L’ho fatto a ragion veduta perché se è vero che Clara Simon, prima giornalista donna, meticcia (nel 1905 si diceva così) italo-cinese per la precisione, all’interno della redazione de “l’Unione” ha un ruolo indefinito e generico, a tutti gli effetti è una giornalista d’inchiesta, una che si occupa di cronaca nera e lo fa egregiamente. Ed è altrettanto vero che sono tali e tanti i temi che Abate tocca esamina e racconta, che rinchiudere il romanzo all’interno di un genere è riduttivo e tutto sommato sbagliato. Dall’aggressione di una suffragetta, un membro del comitato femminista Eleonora D’Arborea di Cagliari, Clara, supportata dal collega Ugo Fassbinder – e dal direttore del suo giornale che ne conosce il valore e riconosce i meriti – parte una crociata il cui scopo è trovare chi ha ridotto Costanza Pes in fin di vita. Per amor di verità certo, ma soprattutto per entrare in un futuro che sia giusto, sotto tanti punti di vista. Atipico o anomalo se vogliamo, il narratore Abate, giornalista dello storico quotidiano “Unione Sarda”, attinge con passione agli archivi diventando così un vero e proprio storico che racconta una Sardegna, Cagliari in particolare, lontana dalle suggestioni dell’interno, così ben descritte da Niffoi, una città cosmopolita che difficilmente riconosciamo per esempio in Pulixi, che ci ambienta i suoi romanzi oggi; una città che nei primi del ‘900 era paragonabile a un’odierna Milano, per la multiculturalià che ci conviveva – perfettamente integrata – ricca di pulsioni moderne, dove fervevano i commerci, la cultura, la vita. Una Clara Simon sarebbe necessaria anche oggi. Libera, cresciuta senza la madre – cinese – morta nel darla alla luce, nel ricordo del padre militare (della cui sorte avrà conferma nelle prime pagine) cresciuta dal nonno, imprenditore illuminato, divenuta una giornalista sostenuta da tutte le comunità, che le riconoscono forza, intelligenza e talento. Non mancano, magistralmente tratteggiati, l’amore – in ogni declinazione - l’amicizia e situazioni (penso al personaggio di Sarrana) che vorremmo normali. Un romanzo in grado di soddisfare i lettori di svariati generi, oltre a chiunque ami la bella scrittura.
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