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Il nido dei calabroni

Il nido dei calabroni

Charlotte, Carolina del Nord. Anni Novanta. Il “nido di calabroni d’America” come Lord Cornwallis l’ha ribattezzata nel 1780, scontrandosi con l’ostinazione dei presbiteriani che resistevano saldamente alla sua occupazione. Oggi l’effige di questo insetto è ancora simbolo della città, della sua squadra di basket e del dipartimento di polizia, anche se la maggior parte degli agenti non ha idea di cosa questo simbolo raffiguri. Tranne la vicecomandante Virginia West, punta talmente tante volte da riconoscerne perfettamente il nido. È lunedì ed è di pessimo umore e non solo la sua nuova autopattuglia deve essere portata all’autolavaggio almeno due volte a settimana, a causa dei numerosi cantieri che devastano la città, come se non bastasse oggi il suo posto auto riservato di fronte alla centrale di polizia è occupato da una motocicletta verde pappagallo da spacciatore, che appartiene a un agente investigativo che presto si palesa coi jeans calati sui glutei, nella moda recente – copiata dai carcerati privati della cintura a scopo precauzionale – che lascia scoperti almeno una decina di centimetri di boxer. Uno degli oltre trecento sbruffoni di cui la West è a capo e a cui vale sempre la pena ricordare cos’è il rispetto per la legge...

Nuovi personaggi per Patricia Cornwell che abbandona temporaneamente la nota Kay Scarpetta per tentare qualcosa di nuovo, uno stile alternativo: tentativo fallito, come dimostra infatti la precoce interruzione del filone, soltanto tre romanzi con Virginia West, Judy Hammer e Andy Brazil, a fronte dei venticinque (ad oggi) titoli con il Medico Legale, molto più amato. Lento, estremamente descrittivo, prolisso e infarcito di particolari ridondanti e superflui che occupano soltanto spazio – troppo – senza arricchire la narrazione, lo rallentano e lo rendono poco scorrevole e che potevano tranquillamente essere eliminati: sembra che la lettura non proceda mai e che si rimanga sempre allo stesso punto, il lettore arranca con grande difficoltà. Il percorso investigativo e la trama gialla sono penalizzati da tutto il resto: le descrizioni, le storie personali, i ricordi, i rapporti tra i personaggi, che se anche subiscono trasformazione lungo la storia – rendendoli così un po’ più umani – distolgono l’attenzione. Frequenti flashback e salti al passato sotto forma di ricordi dei personaggi e alcuni passaggi un po’ complessi che vanno riletti con concentrazione lo rendono un romanzo inadatto a un momento di relax, o a una lettura da spiaggia, perché non permette distrazioni e richiede attenzione costante. Virginia, poi, non è certo un personaggio che si fa amare facilmente e anche Andy Brazil è piuttosto odioso, almeno per i tre quarti dell’opera. Lo stile della Cornwell, comunque, è irriconoscibile. Dal romanzo è stato tratto un film televisivo con Sherry Stringfield e Robbie Amell (e la stessa Cornwell nei panni di una cameriera) trasmesso in Italia per la prima volta nel 2019.