Salta al contenuto principale

Il Paese che amo

1981, New York. Alla vigilia dei suoi 61 anni, Andrea Sterling si ritrova in esilio. Deve la vita solo a un timer difettoso (e/o alla fortuna) e si sente braccato dalle trame dell'Omino, l'imperturbabile doppiogiochista che tiene in pugno la scena politica italiana. Ma anche oltreoceano non poteva certo mettersi a fare l'impiegato: infatti ha messo la sua pistola e la sua ferocia al servizio del Mago, signore del traffico di eroina, che spaccia enormi quantità di droga in cartoni di pizza. L'anziano attore John Wayne, da qualche anno buttatosi in politica, è stato appena eletto Presidente degli USA: “il più grande cowboy della Storia è il Re del Mondo Libero”. Ma anche in Italia le cose stanno cambiando, è scoppiato il casino: il Corriere della Sera strilla a tutta pagina “Lo scandalo della Loggia”. È successo che durante una perquisizione nella villa di un potente massone è stata ritrovata una lista di quasi mille iscritti a una loggia segreta: “(...) due ministri, cinque sottosegretari, dirigenti dei Servizi, giornalisti, magnati dell'industria e delle comunicazioni”. Un terremoto a Palazzo? Il vento sta finalmente girando e stavolta soffia in faccia all'Omino? La figura del leader socialista Tito Cobra sembra in inarrestabile ascesa, gli equilibri di potere stanno per spostarsi. Anche per la Mafia. Anche per i Servizi. Il Mago consiglia Sterling di affilare le armi. “Presto, molto presto, l'Italia avrà ancora bisogno del suo peggior mastino”...
Finisce col botto la Trilogia Sporca dell'Italia. I nodi narrativi di Confine di Stato e Settanta vengono al pettine, una stagione si chiude nel sangue e nel dolore e un'altra nasce dalle sue ceneri. Dopo golpe falliti, trame occulte, corruzione, guerre di mafia, stragi, rapimenti, attentati (persino al Papa!) logge ed eserciti segreti, la nazione stremata apre le gambe ad un nuovo potere, impersonificato da un tycoon dei media che proprio nell'ultima pagina inizia il suo videomessaggio elettorale con un baldanzoso e insinuante “L'Italia è il Paese che amo...”, la frase che dà il titolo al romanzo (come i suoi predecessori intorno alle 500 pagine), la frase che come tutti ricordiamo segnò l'ingresso in politica - nel mondo reale – di Silvio Berlusconi. Ma quello raccontato dal libro non è il mondo reale, malgrado questa citazione possa indurre a crederlo. E non si tratta soltanto di nomi cambiati per evitare qualche querela: il passato alternativo di Sarasso certo assomiglia alla nostra Italia degli anni '80, la ricorda, le ammicca, ma le differenze sono comunque evidenti. Insomma Ljuba Marekovna non è Ilona Staller e nemmeno Moana Pozzi, Savino Gavinelli non è Riccardo Schicchi, Tito Cobra non è Bettino Craxi, Domenico Incatenato non è Antonio Di Pietro, Sandro Vittori non è Maurizio Costanzo, Tadeus Birkowski non è Karol Wojtyla, Carlo Ciaccia non è né Giovanni Falcone né Paolo Borsellino, Mauro Fedele non è Silvio Berlusconi e John Wayne – ma questo va da sé – non è Ronald Reagan. Questo cast ricchissimo di simulacri fa da contorno al vero protagonista, il nerissimo, indimenticabile supervillain Andrea Sterling (che, chissà perché, sin dall'inizio per me ha avuto le fattezze di Daniel Craig), che con l'aplomb corrusco e sturm und drang di un antieroe shakespeariano conduce fino alle estreme conseguenze - stavolta con l'aggiunta di una storia d'amore e di sesso altrettanto autodistruttiva e selvaggia - la sua battaglia personale per lo Stato e contro lo Stato al tempo stesso. La scrittura di Sarasso è ormai quella di un maturo storyteller, che governa una trama complessa e un cast stellare tenendo sempre ben presente la lezione dei maestri ma senza abusare troppo di stilemi, citazioni e cliché.