
Elena dorme. È il momento di approfittare per pulire casa perché quando si sveglierà, Paola sa bene che dovrà mollare tutto per stare con la sua bambina. La mente, mentre la guarda così inerme e tranquilla, corre al giorno della sua nascita e tornano a galla le stesse emozioni di allora. E quelle parole che l’hanno segnata: “aspetto pseudoschizencefalico della corteccia cerebrale”. Parole difficili ma mai quanto la vita che le tocca vivere. Ora Paola ne sente tutto il peso e la stanchezza, fisica ma soprattutto mentale. Una vita vissuta in funzione della figlia. Con la crescita gli scatti d’ira diventano sempre più frequenti: Elena reagisce con rabbia perché intuisce di non essere compresa. Paola e Matteo si sentono sempre più soli in questa difficile avventura di genitori: gli amici piano piano si defilano, i nonni non reggono più la fatica delle intemperanze della piccola, la scuola risponde con distacco burocratico, il servizio sanitario pubblico non ha risposte efficaci da dare, il confronto con gli altri porta sempre frustrazione. Sperare nella comprensione sembra desiderare troppo. Pretendere un diritto diventa una lotta sfiancante. Paola cerca di calmare la sua ansia con innumerevoli appuntamenti per altrettanti consulti medici e, nonostante tutto, resta ferma nella convinzione che per Elena sia fondamentale non restare reclusa a casa. Matteo sceglie la strada del lavoro che lo allontana sempre di più da Paola. Il loro matrimonio non riesce a reggere a tanta fatica e a tanto dolore…
Con linguaggio semplice e diretto, Lorella Chechi racconta la sua vita da mamma alle prese con una montagna da scalare: l’esperienza della disabilità. Barcamenarsi nella giungla della burocrazia e delle relazioni sociali (e personali) diventa estenuante. Un’impresa titanica. Paola è una lottatrice, non cerca la pietà altrui. È decisa ad ottenere ciò che le spetta di diritto: una vita dignitosa e felice per sua figlia, la “piccola tiranna”. Cambiano gli interlocutori ma le modalità relazionali si ripetono: mancanza di ascolto, giudizio superficiale, incomprensione, leggerezza, esclusione. Paola e Matteo alternano sentimenti di impotenza a momenti di forte determinazione, paura e disperazione a ostinazione. Il realismo è l’unica ancora di salvezza e con estrema lucidità Paola prende atto, e restituisce al lettore, la diffusa mentalità che non vuole ammettere l’imperfezione, che non accetta la diversità. Il paese degli orchi nasce proprio dall’esigenza di raccontare per comprendere, per far chiarezza dentro e fuori. Partendo dall’esperienza quotidiana mescolata ad elementi di fantasia, il romanzo è centrato sull’esperienza di amore, quell’amore che rende capaci di grandi slanci ma che ha bisogno di proteggersi per non soccombere. Un racconto da vivere dentro la storia e affatto da spettatori, coinvolgente fino alle lacrime, a tratti esilarante. Un romanzo autobiografico capace di stimolare nel lettore la stessa intensa insofferenza che vive Paola, ma anche di guardare Elena e la sua diversità con occhi nuovi.