
È novembre quando Simon Leyland atterra a Londra da Trieste. Prende la metro, la Piccadilly Line. A Leicester Square scende e sale sulla Northern Line, lungo la quale si trova la fermata di Belsize Park. Simon ricorda che per tre anni, più di quarant’anni addietro, ha lavorato lì sopra, portiere al “Belsize Retreat Hotel”. Passa oltre, fino ad Hampstead, il suo punto di arrivo. Una volta in superficie, davanti a sé vede la casa di Warren Shawn, suo zio. L’ha acquistata all’età di quarant’anni, quando gli era stata assegnata la cattedra di Lingue e Culture orientali alla School of Oriental and African Studies: lo stesso momento in cui Simon era fuggito da Oxford. Simon si era allora rifugiato da suo zio, e durante quel breve periodo aveva scoperto la sua bruciante passione per le lingue. Ora, in questo novembre londinese, Simon Leyland è di nuovo di fronte casa di Warren Shawn, che è morto a luglio. Ad avvisarlo del decesso era stato Kenneth Burke, il vicino di casa. Tutto era avvenuto poco tempo dopo la diagnosi del dottor Leonardi. Due settimane dopo la telefonata di Burke, Simon aveva ricevuto una lettera da parte dell’avvocato di Warren Shawn: aveva ereditato la casa. E ora Simon è lì davanti, pronto a prenderne possesso…
Già solamente leggendo il titolo è facilmente intuibile che questo libro, più che su una trama avvincente, farà leva sulla scelta lessicale e sulla disposizione dei termini. È una strategia letteraria che può apparire pretenziosa in prima battuta, ma che al termine del romanzo risulta essere talmente azzeccata da far pensare che non sarebbe stato possibile concepirlo in altro modo. Scritto da Pascal Mercier (pseudonimo di Peter Bieri, filosofo e scrittore svizzero con all’attivo Treno di notte per Milano e Partitura d’addio), Il peso delle parole ruota intorno alle vicende del traduttore inglese Simon Leyland, ripercorrendone i principali avvenimenti degli ultimi – ma non conclusivi – mesi della sua vita. Partendo dall’arrivo di Simon a Londra, motivato dalla presa di possesso della casa di suo zio appena deceduto, Pascal Mercier orienta il romanzo un passo in avanti e due indietro alla volta. A mano a mano introduce i numerosi, ma bilanciati personaggi che non fanno semplicemente da contorno alla storia, ma ne sono colonne portanti: Livia, Burke, Sophia, Sidney, Andrej, Francesca, Pat. Simon ha con ognuno di loro un rapporto diverso, e così gli uni con gli altri. Le relazioni sono delicate, mai banali e, naturalmente, l’accento è posto sulle parole che alimentano queste relazioni. Ogni personaggio ha un proprio lessico, che varia a seconda dell’interlocutore e del contesto in cui si trova. In questo emerge tutta la bravura (forse anche dovuta alla passata carriera accademica) di Mercier: il filosofo-scrittore riesce sempre a trovare la parola che più si attaglia alla situazione. Quella che consola, quella che sprona, quella che ferisce, quella che guarisce, quella che solidarizza. Più che un romanzo, Il peso delle parole è un omaggio alle lingue e alla loro bellezza.