
Non sono rimaste tele di Francisco de Goya y Lucientes a casa dell’ultimo amore del pittore, Donna Leocadia Weiss: quelle ricevute in eredità, dopo 25 anni dalla sua morte, sono state tutte vendute per riuscire a vivere. Lei, 67 anni, è ora malata e appesantita, con gli occhi cerchiati di scuro, non sembra proprio più la donna bellissima che ha legato a sé l’artista fino all’ultimo dei suoi respiri! “La vita è un gigantesco inganno” è solita dire al suo medico, il dott. Ortega, preoccupato per la sua debilitazione, con la consapevolezza di essere ormai a un passo dalla fine dei suoi giorni, dopo aver pagato tutti i suoi debiti e senza più alcun rimpianto. Quel giorno caldo del luglio 1856, Leocadia è felice perché può beare i suoi occhi della vista di suo figlio Guillermo che è passato a farle visita e non succede così spesso, anche a causa della moglie di lui, Consuelo, con cui non va proprio d’accordo. Lo osserva con grande attenzione, scoprendo come l’età adulta gli abbia tolto quell’aria sognante che aveva da bambino, sostituendola negli anni con la disillusione di cui è pervaso oggi, le preoccupazioni, gli impegni tra il lavoro e la famiglia, moglie e figli, la pena per le sofferenze della madre. Ed è a Donna Leocadia che chiede di poter parlare. Vorrebbe sapere qualcosa di più del passato di lei, qualcosa di più sulla madre e sulla sorella morta giovanissima che, a sua detta, si sono rovinate la vita per amore e soprattutto per amore del Goya. È da questa affermazione che la madre capisce che quel suo figlio, durante tutta la sua vita, non ha mai provato un sentimento forte, nemmeno per la moglie con cui vive da anni...
Ha solo bisogno di raccontare il suo grande e unico amore di tutta una vita, Donna Leocadia, a un passo dalla morte, durante le ultime visite di suo figlio Guillermo che, invece, vorrebbe non sentirla. Entrambi si adattano, anche se fa male. Ci sono tutte le città della vita di Francisco Goya, da Fuendetodos a Saragozza, a Madrid, a Bordeaux. Ci sono parenti, amici, figli, moglie, amanti, esattamente come è stato nella realtà della sua vita. Soprattutto c’è la sua adorata Leocadia Zorilla Weiss, che lo ha curato e accudito per anni, forse i più difficili, quando ormai anziano e sordo, trova sfogo al suo mal di vivere non soltanto picchiandola, ma anche imbrattando tutti i muri della loro casa, Quinta del Sordo, vicino al fiume Manzanarre, un po’ distante dal centro di Madrid. E proprio ai muri di questa casa riserva i suoi sabba con i demoni, i satiri, gli esseri mostruosi e deformi, ancora più giganti se viene considerato lo spazio delle pareti in cui sono rappresentati. Si potrebbe dire un uomo irriconoscente (anche se non è così) e non meritevole di una donna che sa apprezzare, invece, il valore e la ricchezza dei sentimenti: questa è forse l’idea, il primo concetto che un lettore si fa di Francisco Goya e la sua amata Leocadia e della storia raccontata in questo romanzo, una storia a tinte scure, come i quadri del pittore. Difficile capire perché, nonostante tutto l’amore che regna tra i due (che hanno anche una figlia), è solo l’unico figlio Javier, nato dal suo primo matrimonio e il figlio di questi, nipote amatissimo del pittore a essere privilegiati dall’eredità. Eppure Leocadia e la figlia (con un altro figlio nato dal primo matrimonio di lei) vivono con Goya quando è ormai vedovo. Certo, è vero, lei no, è ancora sposata con il suo unico marito che gli ha portato via il primo figlio (oltre a un sacco di soldi) con il ricatto di una donna e madre poco di buono, ma non ha mai legalizzato l’unione con il pittore, sotto gli occhi di tutti anche quando Leocadia era poco più di una adolescente.