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Il principe e il povero

Il principe e il povero

Nello stesso giorno d’autunno, a Londra, verso la metà del sedicesimo secolo, vengono alla luce due bambini. Tom Canty, figlio di una mendicante e di un ladro ubriacone, violento e bestemmiatore, nasce in un tugurio ad Offal Court, non molto lontano dal London Bridge. Edoardo Tudor invece, Principe del Galles, è l’erede al trono d’Inghilterra, discendente di Enrico VIII. Nonostante le severe leggi contro l’accattonaggio, Tom è costretto a mendicare per le strade, ma lo fa quel tanto che basta per salvarsi dalle botte del padre e della nonna malvagia. Il resto del tempo lo trascorre con padre Andrew che gli insegna un po’ di latino, a leggere e a scrivere. La lettura diventa l’unica ancora di salvezza in quel mondo di miseria e povertà, e il linguaggio e il modo di comportarsi ne subiscono un’influenza evidente. Diventa un ragazzo saggio ed istruito e cresce sempre di più in lui il desiderio di vedere e conoscere un vero principe. Un giorno Tom, girovagando per la città, decide di spingersi oltre le mura, e accompagnato dalle sue fantasticherie si inoltra lungo una strada che lo conduce fino al palazzo reale, nella zona di Westminster. Attraverso la cancellata dorata vede un autentico principe, vestito di seta e di raso e tutto un luccichio di gioielli. Ma in quel momento una delle guardie reali lo agguanta e lo scaraventa tra la folla di londinesi curiosi. Il piccolo Tudor, il Principe della Sterminata Ricchezza, rimprovera la guardia e ordina di far entrare immediatamente Tom, il Principe della Povertà. Qui i due ragazzi decidono di scambiarsi i vestiti, e quando vedono la loro immagine riflessa allo specchio si rendono conto di somigliarsi talmente tanto che chiunque avrebbe fatto fatica a riconoscerli. Edoardo ordina a Tom di rimanere nella stanza fino al suo ritorno, ed esce dal palazzo reale per vivere il mondo del piccolo accattone, mentre Tom veste i panni dell’erede al trono. Non tutto però procede come i due hanno previsto...

Ne Il Principe e il povero emergono evidentemente le peculiarità della letteratura americana della seconda metà dell’Ottocento, di cui Mark Twain, pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens, può considerarsi uno dei maggiori esponenti. Specchio di un contesto economico e sociale molto dinamico, pensiamo al forte avanzamento scientifico e tecnologico di cui gli Stati Uniti furono protagonisti a partire da quegli anni, la narrativa d’oltreoceano abbandona le tematiche fantastiche degli scrittori romantici, per abbracciare i valori del realismo, del quotidiano, delle questioni sociali e dell’impegno civile. E ciò si ritrova senza dubbio in quest’opera, scritta nel 1881, in cui Twain dedica molte pagine a descrivere le infime condizioni di vita della classe più povera nella Londra del sedicesimo secolo, “la vita insopportabilmente tetra e vuota della gente nata e cresciuta sul Ponte di Londra”, contrapponendola alla ricchezza e alla sfarzosità dei nobili e della famiglia reale. Ma Twain affronta anche il tema dell’impegno civile, ponendo l’accento sulla lungimiranza di Edoardo VI e sul suo regno particolarmente mite. Un monarca attento alle miserie del popolo, a differenza del padre considerato un tiranno spietato. Le pagine del libro mettono in evidenza aspetti dell’animo umano. Dall’insoddisfazione di chi possiede ogni sorta di ricchezza, alla voglia di riscatto di chi vive nella miseria, dall’onestà e bontà d’animo degli uomini che prestano il loro aiuto a chi è in difficoltà, senza pretendere nulla in cambio (pensiamo a Miles Hendon, il salvatore di Edoardo), alla malignità di coloro che pianificano per perseguire scopi abietti (il riferimento è a Sir Hugh, il fratello maggiore di Hendon, un traditore che aspirava alla dote di Lady Edith). Il finale del romanzo, di cui nulla si anticipa preferendo lasciarne la scoperta al lettore, è certamente lieto e dimostrativo del pensiero dell’autore. Può senza dubbio accogliersi la definizione che è stata data di Twain come scrittore dal “cordiale talento narrativo”.