
C’è Abji Khanum, la sorella maggiore bruttina… C’è Haji Morad che per strada, sotto il nero chador, scambia una donna per sua moglie e le dà uno schiaffo in pubblico… C’è il duro Dash Akol, che tiene il suo amore chiuso nel cuore e lo confessa solo alle orecchie pennute di un pappagallino… Ci sono due vecchi davanti a una sala da tè che si raccontano a vicenda le sventure troppo simili avute con le loro mogli… C’è Homaiun, che ha perso il suo migliore amico e dopo averlo seppellito si ritrova per le mani una strana lettera di testamento… C’è Mehrdad, figlio di buona famiglia, andato a Le Havre per imparare il francese e la cultura europea; timido e ritroso, troverà l’oggetto d’amore nella donna meno rischiosa, più fedele e rassicurante che possa esistere… C’è una notte di sangue nel 809 d.C., è la notte del massacro dei Barmecidi, la potente famiglia persiana di Mazar-e Sharif, che sotto i Califfi abbasidi seppe mantenere ruoli di potere, nascondendo in privato la sua vera fede… C’è un triangolo amoroso, goffo e ridicolo… C’è un cane randagio, infine, abituato a prender calci e nostalgico delle coccole del padrone perduto…
C’è la morte che aleggia in tutti questi racconti e in tutta l’opera di Sadeq Hedayat. Non sempre angosciante, a volte ironica, a volte persino liberatoria. C’è la morte purtroppo a circondare questo libro che rappresenta l’ultima fatica della grande traduttrice e studiosa della letteratura persiana Anna Vanzan, tristemente scomparsa alla fine del 2020, mentre il libro era in preparazione. Fra le molte sue traduzioni ricordiamo qui quella dell’altra grande opera di questo scrittore di culto persiano, nato a Teheran nel 1903 e scomparso a Parigi nel 1951: La civetta cieca (Carbonio, 2020). Qui invece la Vanzan ha raccolto nove racconti di un autore di cui vorremmo vedere molto di più in italiano. Considerato il padre della letteratura iraniana moderna, la breve vita di Hedayat è stata assediata dall’ombra scura della morte, dalla sua ossessione, fino al suicidio. L’opera letteraria ne è la testimonianza. Una luce decadente e crepuscolare si irradia in questi nove brevi racconti realistici che ci regalano personaggi ambiguamente sopraffatti dalle convenzioni sociali, dai legami famigliari, dalle aspettative degli altri. Un’amara e quasi trattenuta ironia li consegna implacabilmente ai loro destini, tracciando il breve transito del loro cammino esiziale. Nove brevi, meravigliosi racconti nei quali aleggia un diffuso e costante senso di solitudine, di profonda alienazione dell’individuo dal flusso della vita che scorre. Nella parola di Hedayat però si sente, senza saper dire perché, la nota della letteratura con l’iniziale maiuscola, l’espressione disperata della inutile e necessaria bellezza della parola di fronte alla morte.