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Il regalo nero

Il regalo nero
Suriname, Sudamerica. Maria vive in una famiglia benestante, proprietaria di numerose piantagioni di tè, nelle quali lavorano schiavi. Il papà si reca spesso al mercato per venderne alcuni e acquistarne altri: uomini, donne e bambini di colore. Adesso è giunto il dodicesimo compleanno di Maria, in suo onore è stata preparata una bella festa, con una schiera di schiavi pronta a ballare per lei, a servirla e riverirla. Il nonno le ha regalato una Bibbia con un fermaglio d’oro, la zia Erda una borsa “quasi da signora” e la zia Amy un profumo. Ma il regalo di papà e di zia Elizabeth tarda ad arrivare. Finalmente verso la fine dei festeggiamenti ecco che papà prende la parola e fa portare da quattro schiavi il più grande vassoio coperto che hanno in casa, lo scopre… et voilà il regalo per Maria: “Questo è Koko. Uno schiavetto per la nostra Maria.” “E questa è la frusta!” è la frase della zia Elizabeth che fa da eco a quella del padre. Koko potrebbe essere anche più piccolo di Maria ed è davvero il suo schiavo personale: prepara l’occorrente per il bagno, pulisce e riassetta, ma per Maria meriterebbe di essere frustato… perché ha gli occhi persi nel vuoto e non sa dov’è nato, quanti anni ha e dove sono i suoi genitori. Nel frattempo papà ha portato una nuova schiava a casa, è giovane e bella ed è chiaro a tutti, in primis alla mamma, che quella schiava ha dei compiti speciali. Ma ovviamente questa cosa alla mamma non va giù e non aspetterà altro che il papà si debba allontanare per recarsi dal nonno malato per colpirla in viso e sfregiarla per sempre. Quando il papà tornerà, non la guarderà più – pensa Maria. Ed ha ragione: sia Cicatrice – così verrà chiamata da Maria l’amante del padre –sia Koko vengono venduti. Al posto di quest’ultimo la zia Erda consiglia la sua schiava, Ula, una donna che prepara con le sue mani creme per il corpo e fa degli ottimi massaggi. Quando Ula arriva a servizio a casa di Maria indossa abiti larghi e nessuno capisce perché si muova con movimenti così goffi e lenti finché un mattino sotto un tiglio Ula partorisce. Un bambino bianco…
Breve, essenziale e agghiacciante. Se mi chiedessero tre aggettivi per definire Il regalo nero di Dolf Verroen - pluripremiato in Olanda come miglior autore di libri per ragazzi - credo che userei questi. Breve perché la narrazione si svolge in circa 60 pagine, graficamente disposta in versi, anche se si legge come fosse prosa. Essenziale perché non c’è spazio per i fronzoli o per ampie descrizioni paesaggistiche o dei personaggi in un libro che ha alla base azioni e pensieri malvagi. Agghiacciante perché pensare ad un animo così spietato nel corpo di una bambina di 12 anni lascia senza respiro. Sicuramente a molti di voi sarà capitato di leggere almeno una volta un libro, un articolo o reportage che avesse come tema la schiavitù, ma è un po’ più raro leggere un libro in cui il punto di vista sia quello del “bianco”, del padrone che con candore fa emergere tutta la sua crudeltà, come se fosse un sistema normale. La tratta di schiavi al mercato, le violenze gratuite che devono essere imposte per farsi rispettare, il pregiudizio, la civetteria e la presunzione. Per Maria è tutto normale perché la sua famiglia questo le ha insegnato. E arrivati alla fine Verroen svela l’origine di questa storia dai contorni raccapriccianti: era il 1976 quando un’amica gli chiese di compiere con lei un viaggio in Suriname, colonia olandese, perché “i Tropici ti fanno vedere il mondo con occhi diversi”. Inizialmente titubante, poi decise di andare. Racconta che l’incontro con la popolazione dapprima lo fece sentire smarrito - unico bianco in mezzo a molti neri – poi pian piano cominciò a sentirsi a suo agio tanto che quando ritornò per la seconda volta si fece molti amici e sarebbe voluto restare, ma gli fu data una risposta esemplare: “No, Dolf, non sarai mai uno dei nostri. Noi discendiamo dagli schiavi, tu dalla stirpe dei mercanti.” Reazioni a fine lettura? Tante, ma tutte imprevedibili.