
La sera avvolge di un’oscurità profonda il giardino della residenza di campagna di Monsieur Rênal. In quel buio complice la mano di Julien Sorel si allunga a prendere quella di Louise de Rênal. Lei si ritrae, poi cede, abbandonandogli la propria mano. Comincia così, con un piccolo gesto audace, la scalata sociale del diciottenne Julien, ambizioso figlio di un contadino, proprietario di una segheria a Verrières. In virtù della sua fama di latinista il Rênal l’ha assunto come precettore e sua moglie Louise, venendo meno ai propri principi religiosi e morali, ha perso la testa per quel ragazzo gentile e appassionato, che pare voglia farsi prete. In realtà Julien è ancora incerto sul proprio futuro. In segreto arde d’ammirazione per Napoleone, ma da bravo ipocrita tace i suoi ardori, che nella Francia della Restaurazione lo farebbero mettere al bando sia dagli aristocratici che dai borghesi. Julien disprezza tanto gli uni quanto gli altri, eppure desidera con tutte le forze di appartenere al loro mondo e al suo spirito sempre in tumulto la conquista di Madame de Rênal appare come la prima vittoria per avvicinarsi a quell’élite empirea. Ma una lettera anonima mette in sospetto il marito tradito costringendo Julien ad allontanarsi per entrare nel seminario di Besançon. La nuova tappa della sua ascesa è la casa del marchese de la Mole, dove è assunto come segretario. Il suo fascino impacciato e ombroso fa innamorare la figlia del marchese, Mathilde. Ecco finalmente la chiave che può aprirgli le porte di quell’ambiente tanto detestato e tanto ambito. Adesso i suoi sogni stanno per realizzarsi. Julien riceve la carica di tenente degli ussari e va a raggiungere il suo reggimento a Strasburgo. Proprio allora al de la Mole arriva una missiva di Madame de Rênal con le informazioni che le aveva domandato sul futuro genero...
“Cronaca del 1830” è il sottotitolo che Sthendal appone a Il rosso e il nero. La cronistoria del periodo stagnante e paludoso succeduto agli entusiasmi napoleonici che avevano infiammato la Francia, avviene attraverso la minuziosa registrazione dei mutevoli stati d’animo di Julien Sorel. L’amore imprime movimento e cadenza alla vicenda: protettivo e passionale quello con Louise (più matura di Julien), cerebrale ma altrettanto ardente quello con la coetanea Mathilde. Julien però vive il rapporto con loro come una battaglia da vincere prima che come un piacere da assaporare. Tutta la sua esistenza è una tempesta interiore, provocata dalla risoluzione di far fortuna ad ogni costo. Dapprima attratto dalla gloria militare, si rende conto che sotto la monarchia di Luigi Filippo l’unico a regnare è ormai il denaro. Un uomo povero e di bassi natali non può più farsi strada con la sola forza della propria spada. Chi punta in alto e non ha mezzi deve assecondare il clero. Così Julien si convince dell’opportunità di entrare in seminario, salvo capitolare quando vede schiudersi possibilità più mondane. Questo oscillare fra due poli opposti tenendo il classico piede in due staffe (anticipato nel titolo, dove il rosso sta a simboleggiare la divisa dell’ufficiale e il nero la tonaca del sacerdote) è emblematizzato in una scena che con un dettaglio dice tutto. In occasione della visita a Verrières di una testa coronata, Julien prima partecipa alla parata con un’uniforme da guardia d’onore (fornitagli da Madame de Rênal), poi, sollecitato dal curato, presenzia in cotta alla cerimonia religiosa: ma sotto le pieghe della lunga sottana brillano gli speroni degli stivali che nella fretta ha scordato di togliersi. Romanzo psicologico oltre che realistico, Il rosso e il nero è il ritratto di un’epoca e di un arrivista intelligente e orgoglioso, invelenito da un viscerale odio di classe, da un’esaltazione rivoluzionaria fondata non su ideali politici ma su un assoluto egotismo. Julien si dissimula come il Tartufo molieriano e sfrutta il suo charme per sedurre donne potenti finendo per essere vittima dei suoi stessi intrighi come il Valmont di Choderlos de Laclos. A segnare il destino tragico di questo romantico arrampicatore in fondo è l’essere nato troppo tardi per cavalcare l’onda di Bonaparte, e troppo in anticipo sui tempi per riuscire a diventare un buon carrierista. Se fosse vissuto mezzo secolo dopo, come il Georges Duroy di Guy de Maupassant, e avesse avuto un po’ di cinismo e di autocontrollo in più, probabilmente nulla gli avrebbe impedito di guadagnarsi i brillanti successi di Bel-Ami, godendone pienamente e senza remore.
“Cronaca del 1830” è il sottotitolo che Sthendal appone a Il rosso e il nero. La cronistoria del periodo stagnante e paludoso succeduto agli entusiasmi napoleonici che avevano infiammato la Francia, avviene attraverso la minuziosa registrazione dei mutevoli stati d’animo di Julien Sorel. L’amore imprime movimento e cadenza alla vicenda: protettivo e passionale quello con Louise (più matura di Julien), cerebrale ma altrettanto ardente quello con la coetanea Mathilde. Julien però vive il rapporto con loro come una battaglia da vincere prima che come un piacere da assaporare. Tutta la sua esistenza è una tempesta interiore, provocata dalla risoluzione di far fortuna ad ogni costo. Dapprima attratto dalla gloria militare, si rende conto che sotto la monarchia di Luigi Filippo l’unico a regnare è ormai il denaro. Un uomo povero e di bassi natali non può più farsi strada con la sola forza della propria spada. Chi punta in alto e non ha mezzi deve assecondare il clero. Così Julien si convince dell’opportunità di entrare in seminario, salvo capitolare quando vede schiudersi possibilità più mondane. Questo oscillare fra due poli opposti tenendo il classico piede in due staffe (anticipato nel titolo, dove il rosso sta a simboleggiare la divisa dell’ufficiale e il nero la tonaca del sacerdote) è emblematizzato in una scena che con un dettaglio dice tutto. In occasione della visita a Verrières di una testa coronata, Julien prima partecipa alla parata con un’uniforme da guardia d’onore (fornitagli da Madame de Rênal), poi, sollecitato dal curato, presenzia in cotta alla cerimonia religiosa: ma sotto le pieghe della lunga sottana brillano gli speroni degli stivali che nella fretta ha scordato di togliersi. Romanzo psicologico oltre che realistico, Il rosso e il nero è il ritratto di un’epoca e di un arrivista intelligente e orgoglioso, invelenito da un viscerale odio di classe, da un’esaltazione rivoluzionaria fondata non su ideali politici ma su un assoluto egotismo. Julien si dissimula come il Tartufo molieriano e sfrutta il suo charme per sedurre donne potenti finendo per essere vittima dei suoi stessi intrighi come il Valmont di Choderlos de Laclos. A segnare il destino tragico di questo romantico arrampicatore in fondo è l’essere nato troppo tardi per cavalcare l’onda di Bonaparte, e troppo in anticipo sui tempi per riuscire a diventare un buon carrierista. Se fosse vissuto mezzo secolo dopo, come il Georges Duroy di Guy de Maupassant, e avesse avuto un po’ di cinismo e di autocontrollo in più, probabilmente nulla gli avrebbe impedito di guadagnarsi i brillanti successi di Bel-Ami, godendone pienamente e senza remore.