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Il senso della frase

Il senso della frase

Non eccelle nello sport, non riesce a vivere una storia d’amore che duri e non si è ancora rassegnato al compimento dei fatidici trent’anni, ma Lazzaro Santandrea ‒ morto e risorto dalle ceneri del suo sigaro ‒ possiede quello che chiama “il senso della frase”. Oltre a quella arguzia linguistica che gli permette di coniare neologismi come la Zecca fa con i gettoni da 200 lire, Lazzaro, milanese figlio di un romagnolo e di una trentina, è circondato da un insolito campionario di amici: Pogo il dritto, che con il suo taxi fa su e giù da Cattolica, Antonello Caroli, mezzacalzetta come attore e fallito di professione, ed Enrico Cargne detto Carne data l’abbondanza di adipe intorno alle giunture e l’appetito famelico da dinosauro. Un tempo al White Bear di Milano, ritrovo di modelle e aspiranti tali alla ricerca di un contratto, Lazzaro ha incontrato Nicki, quella col naso a becco che raccontava in giro di essere figlia di Joan Collins, quella che si credeva bella e mentiva per vocazione incantando i clienti del locale. Ora Niki non si vede da un pezzo, al suo posto c’è un aspirante clone che racconta le sue stesse bugie e sembra averla fotocopiata nei contenuti improponibili. Ma allora dove sarà finita la vera Niki – che Niki certo non si chiama – e non si lasciava scappare la verità che durante il sonno?

Nella Milano da bere a cavallo tra anni ’80 e ’90, si dispiega l’allegra brigata di antieroi capitanata da Lazzaro Santandrea, prototipo non dell’inetto sveviano ma del saggio fancazzista meneghino, che se ne va in giro a scolarsi birre e si caccia nei guai per combattere la noia. I suoi clisteri di forbito italiano senza censure sono iniezioni endovena volte a combattere l’insostenibile mediocrità dell’essere umano. Un noir che non rispetta la ricetta classica del panettone con l’uvetta ‒ per restare in tema milanese ‒ anche se ci sono la scomparsa di una ragazza, due scagnozzi in abito da Santa Klaus che per poco non fanno secco Caroli e una pista da seguire che attraversa le budella della città. Attraverso una filosofia cazzona, professata da fancazzisti arrapati che non si preoccupano del domani (che è sempre un altro giorno), Andrea G. Pinketts mette in scena il suo teatrino degli “errori” costruendo personaggi unici e indimenticabili. “(…) Antonello Caroli, attore senza tramonto perché non aveva mai conosciuto l’alba. Antonello Caroli che si era ostinato a fare il cinema a Milano, mentre il cinema stava a Roma, un po’ come se Gesù Cristo avesse parlato dalle pagine del Corano”. Brillante ed efficace, Il senso della frase cattura anche il lettore abituato al perbenismo da leccaculo, e allergico alle parolacce come alla penicillina. Un testo ipnotico farcito di vicodin – farmaceuticamente parlando – pubblicato nel 1995 e vincitore del premio Scerbanenco.